Badde Omene (Su Turru ‘e Rubeddu)

Finalmente il fine settimana è arrivato... Finalmente potremo scordare, almeno per un poco, il peso delle fatiche della settimana lavorativa e rigenerare il nostro spirito immersi nel cuore del supramonte di Dorgali. L’organizzazione di questo weekend è stata soggetta a svariate proposte e modifiche, con non poche incertezze e cambiamenti, ma infine abbiamo accolto con entusiasmo la proposta di Adriano Urracci che ci ha invitato a trascorrere due giorni e una notte nella valle di Lanaitho per esplorare, sabato e domenica, le due bellissime forre Badde Omene (Su Turru ‘e Rubeddu) e Surtan X, con barbecue e pernottamento in tenda e/o sacco a pelo presso le casette messe a disposizione nella valle dal comune di Oliena.
Incontro fissato per le 05:45. La levataccia è necessaria per arrivare in un orario accettabile che ci permetta di iniziare il nostro trekking di avvicinamento in tempo utile per poter affrontare le tredici calate con la luce naturale, che in questo periodo dell’anno non ci assiste oltre le 17:30/18. Arriviamo tutti puntuali, come raccomandato, in rapida successione: Adriano Ur, Barbara N., Mara S., Adriano Us. e Francesco M. L’attrezzatura è già stata preventivamente organizzata da Adriano e Matteo che insieme a Bibi ci raggiungerà in serata per l’escursione del giorno dopo. Impieghiamo solo qualche minuto a distribuire i carichi dei bagagli e delle attrezzature nelle macchine di Adriano Us. e Mara, per partire alle 06:00 precise. Primo coffee stop previsto a Tramatza, arrivo a destinazione previsto per le h: 09:00.
Parcheggiamo nei pressi di un ovile, all’ingresso di Lanaitho (sarà il nostro punto d’arrivo al termine delle calate). La giornata è soleggiata, appena un poco ventilata, e la temperatura ancora frizzante è piacevole. Iniziamo la vestizione tra qualche battuta scherzosa ed un saluto agli asinelli che ci chiamano insistentemente alla ricerca di qualche carezza e le esortazioni di Adriano Ur. che ci incalza ad accelerare le operazioni, perché, come dice lui, conosce i suoi polli. Dividiamo le corde negli zaini e, presto fatto, alle 09:30 siamo in cammino verso il punto d’attacco.
Procediamo a ritroso per qualche decina di metri nello sterrato appena percorso in macchina per poi girare a destra in un sentiero che ci porta verso una fattoria, dalla quale procediamo a sinistra fino a superare il Rio de sa Oche per poi puntare dritti verso i piedi di Monte Omene.
Adriano Ur., ci da qualche indicazione orientativa sulle cime che ci circondano, ricordandoci i percorsi e le forre già visitate e richiamando alla nostra mente i punti di riferimento già in precedenza fissati. Un solo pit-stop per la foto di rito, prima che i nostri volti siano troppo devastati dalla fatica della salita e poi si inforca il sentiero senza altre esitazioni (…o quasi!). Ci addentriamo subito nel bosco, seguendo un percorso ben segnalato che arriverà ad una cava.
L’energia della natura ci investe in modo palpabile, l’intensità dei profumi attraversa narici e polmoni facendoci percepire l’imminente esplosione della primavera e, per alcuni tratti, camminiamo in religioso silenzio soltanto respirando intensamente e ritmando il passo col tintinnio del metallo dei moschettoni appesi agli imbraghi che portiamo in vita.
Lasciamo il sentiero ufficiale per proseguirne uno alternativo, segnalato dagli omini, che ci porterà ad attraversare il fitto sottobosco fino all’attacco della forra. La salita si fa quasi subito più ripida. Il percorso è composto da grosso pietrisco intervallato da un impenetrabile macchia mediterranea di cisto, lentisco, euforbia e ginestra che in alcuni punti ci costringe a cambiare direzione perché rende impossibile avanzare.
Man mano che la pendenza aumenta, affiorano più frequentemente rocce calcaree di dimensioni maggiori che ci costringono a procedere in arrampicata per tratti sempre più lunghi, in modo da aggirare la densa vegetazione.
Arrivati circa a metà percorso, dopo esser saliti approssimativamente per 150 m. di dislivello dal punto di partenza, si apre un panorama davvero incantevole. Sotto di noi il lungo serpente del fiume Cedrino, nel suo azzurro intenso, si staglia immobile, quasi a sembrare un dipinto. Sulla sinistra la maestosità del versante del Supramonte di Oliena e le cime del Corrasi ci ricordano quanto siamo piccoli in questa infinita oasi di bellezza.
Avremo modo di ammirare questo spettacolo per le successive due ore, dato che ci troviamo in un passaggio di difficile superamento a causa della pendenza e della perfetta levigatura delle rocce che ci impedisce di proseguire facilmente e che costringe il nostro caro compagno Francesco M. (consacrato dal gruppo come divinità mezzo uomo e mezzo capra) a salire qualche metro sopra di noi e, con la nostra collaborazione, a calare una corda fissata ad un albero per dare la possibilità anche a noi comuni mortali, fatti di carne, ossa instabili e ansia, di poter procedere in quella scalata via via sempre più verticale.
Però il panorama è davvero bello e poi, come ci rincuora Francesco a cadenze regolari: "ormai, ci siamo quasi!". Ma in realtà questa vetta sembra che si allontani ad ogni passo…illusioni ottiche dovute probabilmente alla fatica.
Quando finalmente la vetta è raggiunta, ci accoglie un bosco di lecci e dopo ancora un breve tratto, ci fermiamo qualche minuto per goderci un meritato spuntino prima di procedere col vero scopo che ci ha portato ad affrontare le insidie della salita appena superate: la discesa nella forra di Badde Omene. Nella ricerca dell’attacco sfioriamo l’ovile Mudrecharvu senza vederlo, perché le segnalazioni del sentiero sono un po’ fuorvianti e ci ritroviamo a camminare in diverse direzioni trovandoci spesso bloccati dalla vegetazione. Dobbiamo accelerare per non farci sorprendere dal buio mentre siamo ancora dentro la forra, anche se, il nostro animo speleo, ci porta sempre ad affrontare anche le attività diurne e all’aperto attrezzati a dovere con luci e cibo di scorta.
Raggiunto il primo armo, che si presenta su una parete verticale di circa 15 m di altezza con un comodo iniziale gradino di sosta, Adriano Ur. si appresta ad attrezzarlo alla velocità della luce. Chiama l’ordine di discesa e chiede a Barbara, che sarà la prima a calarsi, di fare da sicura ai compagni che scenderanno di seguito. La gola che ci accingiamo a percorrere è incastonata tra due pareti calcaree e si affaccia sul massiccio montuoso del Corrasi, offrendoci per tutta la discesa una visuale mozzafiato.
È chiara fin da subito la bellezza di questa forra, che si presenta caratterizzata da massi enormi, poggiati l’uno sull’altro in seguito a chissà quale antichissimo smottamento, che segnano una continua progressione in disarrampicata lungo tutta la successione delle calate, alternati da pareti di roccia calcarea erose dall’aria e dall’acqua fino a farle diventare dei vertiginosi, lisci “scivoli”.
Superato un breve tratto verde, raggiungiamo la seconda calata, alta circa 25 metri, verticale, che affrontiamo comodamente con i piedi appoggiati in parete. La terza, alta circa 12 metri, ha l’armo su una roccia posta a circa 1,60 di altezza da un pianerottolo, che tutti i compagni raggiungono comodamente, scendendo dal lato sinistro dell’armo. Tutti tranne Barbara, che essendo arrivata per prima con l’ordine perentorio di Adriano Ur. di attrezzare per la discesa, si è lanciata nel vuoto, in preda alla fretta, utilizzando la longe attaccata all’armo come una specie di liana e procurandosi diverse dolorose contusioni agli stinchi. La fretta non è mai e poi mai una buona consigliera, ricordiamolo!
Per raggiungere la quarta calata alta circa 10 metri, percorriamo un tratto con diverse disarrampicate in cui è presente anche l’ausilio di un tronco per superare un piccolo salto di circa 2 metri. L’armo è intorno al fusto di un albero, dove troviamo una doppia corda rinforzata con una catena al quale è appeso un anello. Le calate iniziano a presentarsi meno lisce e ci costringono a superare alcuni scavernamenti, cercando più faticosamente appoggi per i piedi.
Segue una quinta calata di 11 m dopo la quale, per raggiungere la sesta calata da 14 m, seguiamo il letto del fiume che ci costringe, in scivolata, a cercare di superare (possibilmente rimanendo asciutti) una cavità piena d’acqua stagnante. Superiamo un boschetto di bellissimi ginepri intrecciati, fino a raggiungere un anello in cui possiamo disporre un corrimano che ci aiuterà a disarrampicare fino all’attacco posto qualche metro più in basso, su uno stretto pianerottolo in cui ci stanno solo due persone.
Continuiamo a disarrampicare fino a raggiungere la settima calata con i suoi 12 m., il cui armo è sulla parete sinistra, sopra un terrazzino dove possono stare solo due persone a distanza molto ravvicinata. Affrontiamo in rapida successione l’ottava e la nona calata. Man mano che scendiamo vediamo avvicinarsi la fattoria da cui stamane è iniziata la nostra avventura.
Alla decima calata da 25m., mentre attendiamo il nostro turno di discesa sentiamo provenire dallo sterrato che attraversa la valle il suono di un clacson. Ci rallegriamo intuendo l'arrivo dei nostri amici Matteo e Bibi che hanno promesso di farci trovare, al nostro arrivo al campo base, un bel fuoco acceso e qualche succulento antipasto da divorare subito, in attesa del barbecue che faremo tutti insieme per rinfrancarci dalla fatica dell’impresa. Con l’allegria di quel pensiero affrontiamo le ultime tre calate da 15, 20 e 10 metri, arrivando a valle all’imbrunire, intorno alle h: 18,15, dopo circa 9 ore totali di escursione, con lampade frontali accese ed ancora con lo spirito e la forza per ridere e scherzare fino a giungere alle macchine.
Raggiunto il campo base, come previsto, abbiamo trovato la calorosa accoglienza del fuoco, del cibo, della birra fresca e di altri amichevoli sorrisi con cui condividere l’avventura appena conclusa. Cena succulenta e allegra, ma alle 22 e 30 tutti a nanna dentro i propri sacchi a pelo, perché domani mattina ci attende un’altra meravigliosa avventura...

Segue qualche altra foto...