Sa Fossa de su Fenu Trainu (aprile 2025)
Questo sabato il CISSA ha programmato l'escursione alla Fossa de su Fenu Trainu. La grotta, rilevata nel 1986 dallo Speleo Club Cagliari e registrata nel catasto speleologico regionale al n. 0749 SA\CA, presenta uno sviluppo spaziale di 350 metri e raggiunge una profondità di 160 metri. La voragine deve il suo nome al monte che la sovrasta (Punta Fenu Trainu), quasi a confermare e, simbolicamente, rafforzare quel legame che sussiste tra ciò che si trova in superficie, ossia la morfologia del paesaggio e, di non minore importanza, quello che cela il sottosuolo: una meravigliosa formazione carsica scolpita dalla lenta azione dell’acqua. Il toponimo, tanto insolito quanto enigmatico, ha subito catturato la mia curiosità. La parola "fenu", tradotta dal sardo, significa fieno, ma può indicare anche erba palustre. Il secondo termine, trainu, può riferirsi a un canale d'acqua, o a un torrente stagionale. In alcuni contesti del dialetto logudorese, può essere interpretato anche come lacrima. Nel Sulcis, i due termini associati "fenu trani", o "fenutranu", indicano una pianta erbacea che cresce nei terreni sabbiosi, conosciuta come sparto pungente (Ammophila littoralis), o sparto meridionale (Ammophila arenaria). Si tratta di quella pianta che in passato veniva utilizzata per creare cestini artigianali sardi e che attualmente si sta utilizzando per consolidare e proteggere l'erosione delle dune di sabbia delle nostre coste. Un ulteriore aspetto da considerare, per completare l'analisi etimologica, è che la valle che circonda Punta Fenu Trainu è attraversata da un ruscello, il rio Gutturu Farris, le cui sponde sono ornate da vegetazione palustre, con piante dagli steli sottili ed allungati, come il giunco (Juncus acutus), che per analogia potrebbe ricordare lo sparto. Pertanto, è plausibile ipotizzare che il nome Fenu Trainu possa essere collegato a quella stessa tipologia di flora, o similare, che cresce in questo luogo.
L’appuntamento è alle 7:00 in sede per prendere i tubolari con l’attrezzatura d’armo, compresi moschettoni ad alto carico ed una buona quantità di PLG. Per calarci, porteremo due corde da 100 metri così da evitare giunzioni e salto del nodo. Come da protocollo operativo, porteremo anche un tubolare con il materiale per il soccorso e una corda da 50 metri da utilizzare in operazioni d'emergenza. All'esplorazione odierna parteciperemo in sette: Francesco Ballocco, Adriano Urracci, Barbara Nieddu, Francesco Manca, Matteo Marras, Nicola Perotti e Vladimiro Inconis.
Considerando che per raggiungere il sito ci attende anche un tratto di sterrato piuttosto dissestato, decidiamo di utilizzare le auto più idonee: la Panda di Nicola, il fuoristrada di Vladimiro e la Dacia 4x4 di Adriano. Partiamo da Iglesias alle 7:30 e, oltrepassato il villaggio minerario di Malacalzetta, proseguiamo circa 2 km. per Campu Spina. Voltiamo a destra su un ripido sentiero che, snodandosi tra gli alberi, discende a valle per circa 450 metri e raggiungiamo una radura ove parcheggiamo il fuoristrada e la Dacia. Prosegue qualche centinaio di metri solo la Panda, con a bordo Nicola e Matteo, carica di zaini e tubolari. Iniziamo il trekking di avvicinamento percorrendo inizialmente 700 metri di sentiero demarcato dal greto del torrente.
Poi deviamo a sinistra e seguiamo una traccia fuori pista che, inerpicandosi sul monte, si addentra in un fitto boschetto di lecci. Ci facciamo strada tra liane spinose, scansando rami, scavalcando tronchi e seguendo, a tratti, passaggi lasciati dai cinghiali. In tale contesto, licenza goliardica permettendo, potremo scherzosamente tradurre Fenu Trainu come "canale delle lacrime". Di fatto, affrontiamo tutto con spirito d'avventura e la battuta scherzosa sempre pronta. Risaliamo di quota e, superati i 650 m s.l.m., abbandoniamo il boschetto e proseguiamo in una zona con bassa vegetazione, fino a raggiungere un basamento di rupi calcaree ove si apre a pozzo l'imboccatura della grotta. Nonostante la breve distanza (circa 1.100 metri), abbiamo impiegato quasi un'ora per percorrere il tratto che intercorre tra la radura e l'ingresso della voragine.
Attorno alla grotta si estende un'area intervallata da piccoli arbusti sempreverdi, cespi spinosi di efedra, che predilige crescere tra le spaccature calcaree, piantine di asfodelo, rosmarino e, qua e là, cespugli di cisto dalle morbide foglie vellutate. Il panorama si apre su verdi vallate e, tra le alture, sulla sinistra si delinea il profilo di Punta Arbona, mentre sulla destra si distingue Punta Campu Spina, inconfondibile per le antenne ripetitrici che la identificano da lontano.
Oggi, si occuperanno di armare Matteo e Vladimiro. Per prima cosa, studiano il punto in cui posizionare l'armo iniziale per garantire un avvicinamento sicuro al pozzo d'ingresso. La scelta ricade su alcune rocce situate sul pendio discendente che conduce alla grotta, a circa tre metri dall’ingresso. Con un cordino allestiscono un triplaggio e, con un moschettone ghiera alto carico, lo collegano alla corda da 100 metri. Il primo a calarsi è Matteo che, indossata la bandoliera e con il tubolare della corda assicurato al baricentrico, si sporge oltre l'orlo del pozzo e crea il 1°frazionamento.
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Poi, prosegue la discesa e raggiunge un pianerottolo inclinato che si affaccia su un secondo pozzo di dimensioni e profondità maggiori. Dopo la "libera" di Matteo, Vladimiro inizia a calarsi e raggiunge rapidamente il pianerottolo.
Mentre i due compagni si confrontano, ciascuno con proposte valide su come procedere ed evitare che la corda sfreghi contro la roccia, Francesco Ballocco, intuendo che la progressione fino al fondo sarebbe stata ancora lunga, decide di calarsi per offrire il suo supporto operativo e contribuire a ottimizzare i tempi. Una volta raggiunto il pianerottolo, trova Vladimiro che ha già attrezzato il 2°frazionamento con un PLG ancorato a una fettuccia avvolta attorno a una clessidra rocciosa. Contemporaneamente, Matteo si è calato poco oltre l’imboccatura del secondo pozzo e, dopo aver creato il 3°frazionamento, ha proseguito alcuni metri, predisponendo una deviazione necessaria a evitare ulteriori punti di sfregamento, raggiungendo la base del pozzo.
Francesco, dopo aver valutato positivamente il lavoro dei compagni, prosegue l'armo partendo dal 4° frazionamento e completa la progressione fino alla base della voragine. Nel frattempo, man mano che dal pozzo arrivano le "libere", si cala Nicola, seguito da Barbara e poi da me. Scenderà per ultimo Adriano, che dovrà portare con sé lo "zaino sfiga", ovvero il tubolare del soccorso.
Mentre discendo il primo pozzo, profondo 33 metri, osservo come le pareti descrivano una circonferenza dal diametro pressoché costante, che richiama la forma di una canna di fucile. Volgendo lo sguardo verso l’alto, noto che le rocce che delimitano l'imboccatura della grotta hanno fantasiosamente abbozzato il profilo di un volto antropomorfo rivolto verso il cielo.
Giunto sul pianerottolo, dove possono sostare due persone allongiate, proseguo qualche metro su ripide rocce che terminano con un restringimento e si affacciano sul vuoto. Discendo ancora e mi allongio al frazionamento del secondo pozzo, profondo circa 46 metri. Le pareti, rispetto al pozzo precedente, delineano una circonferenza più ampia. Illuminata nell'oscurità, comincia ad affiorare qualche leggera colata bianca, che risalta immediatamente per il netto contrasto con la roccia bruna.
Riprendo a calarmi e dopo una decina di metri trovo predisposta una deviazione in previsione di un nuovo restringimento che potrebbe far strisciare o incastrare la corda su alcune rocce. Giunto alla base del pozzo mi allongio al 4°frazionamento. L'armo è stato creato su due chiodi e nodo coniglio. Qui lo spazio è sufficiente per far sostare anche quattro persone, ma c'è il problema di trovarsi sotto la verticale, con il rischio di caduta pietre. Per raggiungere l’armo successivo, mi sposto lungo la base del secondo pozzo e, con il discensore sempre montato sulla corda, oltrepasso una breve strettoia che accede direttamente al terzo pozzo, profondo circa 65 metri. Dopo la strettoia, c'è giusto un breve spazio per allongiarsi al frazionamento. (Nella foto, Nicola oltre la strettoia)
L'armo è stato predisposto sulla parete che sormonta il pozzo, con due PLG assicurati su due distinti anelli, e termina con un moschettone ghiera alto carico dal quale parte la nuova corda da 100 metri. Sia nel moschettone che nella gassa della nuova corda sono stati convogliati ed annodati anche gli ultimi metri della corda precedente; pertanto, per ogni eventualità, le due corde resteranno unite. Comincio la discesa nel terzo pozzo, ove alte colonne, punteggiate da minuscoli riflessi luccicanti, scintillano nella penombra.
Dopo una ventina di metri, trovo una nuova deviazione, preludio a una prossima strettoia che mi accingo a superare. Mentre affronto gli ultimi quaranta metri, il discensore, surriscaldato dall’attrito con la corda, diventa quasi scottante. Rallento brevemente la progressione per osservare un varco nella roccia che mi consente di scorgere, da un’angolazione ancora molto elevata, qualche bagliore di luce proveniente dalle torce dei miei compagni. Con l'avanzare verso la base del pozzo, come un’eco che risale dal fondo, comincio a percepire le loro voci euforiche, mentre contemplano la sala d’ingresso della grotta. Atterro sfiorando una colonna bianca, su rocce tondeggianti rese lucide dal frequente stillicidio.
Il pavimento, modellato da splendide conformazioni globose e levigate, degrada con un lieve dislivello fino a un arco affacciato su un salto di circa 3-4 metri, oltre il quale si apre un pozzo colmo d’acqua. Le pareti sono adornate da numerosi speleotemi a forma di medusa.
Per accedere alla sala dove mi attendono i compagni, risalgo un gradone stalagmitico attorno al quale è stata fissata una fettuccia con moschettone ove è convogliata la corda. Scavalco la concrezione e mi calo in appoggio per circa 5 metri. Qualche metro più in basso si apre il medesimo pozzo d’acqua intravisto poco prima da un’altra prospettiva, che separa la parete in cui mi trovo dalla sala che devo raggiungere. Per risparmiarmi un passaggio acrobatico, i compagni tendono la corda verso loro, permettendomi di attraversare il vuoto ed atterrare agevolmente nella sala. Mentre arriva Adriano, l'ultimo a calarsi, inizio ad osservare ciò che mi sta intorno.
L'ambiente, ampio circa sei metri quadri, presenta un pavimento uniforme, costituito da estese vaschette d’acqua. Di fronte a me si apre un teatro silenzioso di stalattiti, sottili cannule e ribelli sculture intrecciate che sfidano la gravità, ognuna più affascinante dell’altra. Inseguendo l'emozione, comincio a fotografare senza sosta, confuso da tanta bellezza da non riuscire a scegliere cosa immortalare.
Mi ridesto dall'incanto, chiamato dai miei compagni, e riprendo l'esplorazione. La sala è delimitata da un lungo bordo che termina con un salto di circa dieci metri. In prossimità di tale scarpata, si notano i resti fossili di un probabile Prolagus sardus, un piccolo roditore simile alla lepre estinto circa 7.500 anni fa.
Per accedere al prossimo ambiente, si attraversa un breve passaggio basso, e, una volta usciti, si staglia davanti a noi una larga stalattite bianca, che si protende verso il pavimento con un'estremità insolitamente squadrata.
Come il pavimento della sala precedente, anche questo è coperto da vaschette piene d'acqua. Presenta un lieve dislivello positivo, che termina in una salita più ripida. Si tratta di un piazzale che circonda un'isola di concrezioni calcaree al centro della quale spicca una bianchissima stalagmite, sulla quale, da grande altezza, piovono goccioline d'acqua in un rapido stillicidio, offrendoci un suggestivo spettacolo.
La sala presenta un lato con pareti perfettamente verticali, mentre l'altro è caratterizzato da un alto cumulo roccioso compatto, distaccato probabilmente dalla volta. In un angolo, a circa 3 metri di altezza, si erge parzialmente nascosta una colonna che, con la sua maestosità, sembra quasi invitarci a salire per scoprire cosa si cela oltre.
Proseguiamo in piano e, accovacciati, attraversiamo un tratto con con vaschette colme d'acqua che ci conduce in un salone enormemente ampio.
Ogni angolo è indescrivibilmente ricco di speleotemi: dai giochi intriganti delle eccentriche, alle delicatissime cannule; dalle grandi stalattiti che pendono dalla volta, alle candide colonne che si ergono dall'acqua e si specchiano come scie di luna piena. Il pavimento è pressoché pianeggiante, privo di dislivelli significativi, e termina con un lieve promontorio da cui osservo i miei compagni sparsi nel grande salone della grotta.
Il tempo, discreto compagno d’avventura, scorre lieve accanto a noi, e senza che ce ne accorgiamo, arriva presto l’ora di andar via. Alle 19:30 siamo tutti fuori, con la grotta completamente disarmata e le corde recuperate. La strada del rientro alle auto pare sempre più breve! Dopo esserci cambiati e rifocillati, riprendiamo la via del ritorno.
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