Biru e'Concas (giugno 2017)
La prima domenica di giugno ci accoglie con un bel sole, preludio di una gradevole giornata. L'uscita odierna, proposta da Alessandro Canino (socio ed archeologo della nostra associazione C.I.S.S.A.), prevede l'escursione al sito archeologico Biru e'Concas (Sorgono). L'appuntamento con i compagni è fissato alle 9:30 presso la nostra sede sita ad Iglesias, in località Ceramica. Giungo sul posto con mia figlia Giulia ed incontro tanti amici, primo fra tutti il presidente Francesco Ballocco, insieme a Betty, Alessandra e Riccardo ed ancora, Giuliano con Cristina, Riccardo con Antonella e Martina, Simona, Guido, Luciano C., Giorgio P., Alessandro A., Aurora con Marco e Luca T. con Susy. Per evitare di creare una carovana d'auto riusciamo ad organizzarci utilizzando poche macchine (io e Giulia siamo affettuosamente ospitati nell'auto di Giuliano e Cristina). Affrontiamo il viaggio a velocità da crociera ammirando i diversi paesaggi che, come preziosi fotogrammi, vorremmo catturare nella nostra memoria.
Giunti a Villamar, incontriamo Annalisa e Vittorio che arrivano da Quartucciu. Poi riprendiamo il viaggio seguendo questo itinerario: imbocchiamo la s.p.25 che attraversa Ussaramanna, Baradili e Albagiara; al bivio per Escovedu svoltiamo a destra in direzione Laconi (s.s.442), restando su questa strada per circa 6Km., passando esternamente ad Assolo e svoltando per Asuni che dista 8Km.(s.p.38); oltrepassato il paese entriamo nel Mandrolisai affrontando le curve che risalgono a Samugheo; poi proseguiamo una decina di chilometri sulla s.p. 33 in direzione Atzara; prima di raggiungere il paese, svoltiamo al bivio che conduce all'incrocio per Sorgono ove svoltiamo ancora a sinistra e, dopo circa 800m, arriviamo al parco archeologico. Prima di accedere al sito Alessandro Canino ci raduna attorno a se per fornirci le prime informazioni su ciò che andremo a visitare. Spiega che il sito Biru e' Concas (sentiero delle teste), ubicato per misteriose logiche esattamente al centro della Sardegna, è il luogo dov'è concentrato il maggior numero di menhir di tutta l'Isola (se ne contano circa 700).
Il termine menhir deriva dal bretone men (pietra) ed hir (lungo). Pertanto, tali pietre allungate, erette tra il 3300 ed il 1700 a.C. (tra il neolitico e l'eneolitico), si trovano sparse nella collina che si eleva oltre il recinto del sito e possono essere facilmente raggiunte seguendo un sentiero ben delineato, corredato da esaurienti pannelli esplicativi. Entriamo quindi nel parco con fervido entusiasmo, impazienti d' ammirare da vicino queste opere primitive. Raggiungiamo dapprima una fonte ove sgorga l'acqua di una vicina sorgente (qui è stato predisposto un lungo abbeveratoio ove possono dissetarsi anche gli animali in libertà). Poi, risaliamo un pendio ed iniziamo a trovare i primi menhir. Il nostro relatore, con raffinata eloquenza, focalizza la nostra attenzione su alcune pietre con foggia antropomorfa (che evocano rassomiglianze col volto umano); poco più avanti ne riscontriamo anche proto antropomorfe, perfettamente levigate, con la parte superiore simile ad un ellissi e l'estremità quasi appuntita.
Il nostro percorso procede in leggera salita fino a raggiungere una radura. Innanzi a noi si apre uno scenario spettacolare: è presente una lunga fila di menhir disposti simmetricamente l'uno accanto all'altro che, quasi a contemplar il divino, s'innalzano verso il cielo. In effetti, tali monumenti megalitici, seguendo probabilmente un rituale particolare, venivano conficcati per diversi metri sotto terra facendo sporgere in posizione eretta solo la parte superiore. Avanzando sommessamente tra i monoliti si evince con fattiva concretezza la sacralità di tale sito. Alcune stele evidenziano segni raffiguranti gli eroi caduti in battaglia, sovente con il loro pugnale (spesso forgiato con doppia lama contrapposta). Altre riportano simbolicamente un corpo capovolto (raffigurato da un candelabro, o un tridente), per rappresentare il trapasso umano dal vissuto terreno all'oltretomba. Altre ancora presentano effigie simmetriche di forma concentrica che riconducono al culto della dea madre, venerata cinquemila anni fa perché potesse elargire abbondante fertilità alla terra ed agli uomini.
Alcuni amici sostano in silenzio, quasi in contemplazione; altri preferiscono ammirare le "pedras fittas" effettuando tra esse un percorso a spirale, oppure siedono semplicemente accanto a tali megaliti, testimoni della storia e del tempo che scorre. Anche tu resterai incantato ad ammirar siffatte sculture, fino a cedere ad un sottile influsso che ti spingerà a sfiorarle. In tali attimi di raccoglimento nasce una riflessione: quanti condottieri, politici, filosofi e quali religiosi, giudici e mercanti son passati nei secoli per questi lidi? Quante preghiere, quali promesse e quanti desideri son stati invocati? Intorno a noi sussiste un tangibile vortice d'energia ...e, mentre il tutto comincia a raccontarsi, il collettivo immaginario fa comparire spiriti d'altre epoche che prendon vita con i loro costumi ed armamenti, le tradizioni e l'antica sapienza, facendo quasi riaffiorar ancestrali ricordi connessi ai nostri progenitori, padri dell'amata Terra Sarda. Dalla radura riprendiamo l'esplorazione dirigendoci verso la collina, dov'è ubicato un nuraghe battezzato col medesimo nome di tale sito.
Per raggiungerlo procediamo circa 150m. su un sentiero che, dopo un breve tratto d'erba, s'inoltra nell'ombra di un boschetto e si chiude con cancelletto in legno. Oltrepassiamo la soglia e risaliamo ancora una decina di metri raggiungendo l'arcaica roccaforte mimetizzata tra la vegetazione. Gran parte della struttura è ormai interrata, anche se lascia intravvedere qualche spaccatura probabilmente ispezionabile. Alcuni massi franati permettono di arrampicarsi sui blocchi granitici e raggiungere con facilità la sommità, ove si gode la vista d'un paesaggio collinare. Da qui si nota meglio il basamento murario disposto in semicerchio, contornato da due grandi alberi che oltrepassano l'attuale volta del nuraghe ed alcuni arbusti che sporgono dalle intercapedini rocciose. Lasciato il luogo, percorriamo il tragitto a ritroso attraversando un tratto di giardino botanico che ci accompagna verso l'uscita, concludendo in tal modo la visita al sito. Riprese le auto ci rechiamo al vicino parco del Santuario Campestre di San Mauro, distante 5Km. da Sorgono, dove sosteremo per un frugale pranzo al sacco.
Mentre i bimbi profittano del sole per scorrazzare tra i prati, ci prendiamo qualche istante per rifocillarci all'ombra degli alberi; ma prima che sopraggiunga il sonnolento tepore, ci destiamo con lena per andare a visitare il santuario. Il viale alberato dei giardini conduce ad un grande cancello oltre il quale notiamo, alle spalle della chiesa, alcuni caseggiati disposti a schiera. Si tratta dei muristenes, (piccoli alloggi utilizzati in passato dai frati). Probabilmente, anche oggi, al pari delle cumbessias, tali camere si potrebbero concepire come locali da occupare per occasionali pernottamenti di pellegrini. La caratteristica che puoi notare su alcune casupole è una campanella appesa sopra l'uscio. Sul lato opposto ai muristenes sono presenti dei lunghi istaulos, (loggiati aperti, un tempo riparati da un tetto in legno). Il santuario, costruito probabilmente dai monaci benedettini, sorge volutamente in questo luogo che nei secoli è sempre stato crocevia di enorme importanza (le didascalie presenti nei pannelli esplicativi datano la chiesa: fine XVI prima metà XVII sec.).
Al portone principale si accede risalendo un' ampia scalinata delineata ai lati da muretti, sopra i quali due leoni sorreggono lo scudo d'Aragona (indice che ampliamenti e modifiche furono apportate durante la dominazione spagnola). Sulla facciata, costruita in trachite, è presente il rosone più grande tra le chiese sarde (4m. di diametro), custodito lateralmente da due angioletti. Ai lati del portone son presenti alcune scritte e simboli a croce lasciati nei secoli dai pellegrini come testimonianze votive per grazia ricevuta. Durante la visita ognuno medita su ciò che più lo attrae, fino a ritrovarci tutti insieme seduti sulla gradinata del santuario. Ottima occasione per immortalare l'attimo con qualche foto di gruppo. Poi, riprendiamo il percorso a ritroso transitando nel parco ove ci siam soffermati a mangiare ma, anziché riprendere le auto, risaliamo il breve tratto collinare che conduce al nuraghe Talei. Anche qui Alessandro Canino ci riunisce nello spazio antistante il sito per fornirci qualche informazione.
Il nuraghe Talei è un proto nuraghe: si tratta di un'opera in pietra edificata tra il 1800 ed il 1500 a.C., prima degli attuali nuraghi. La sua quadrangolare struttura è diametralmente attraversata da un lungo corridoio coperto che termina su una seconda apertura ubicata sul lato opposto. Questo tipo di costruzione era probabilmente utilizzata sia come abitazione, che come punto di vedetta (contrariamente a ciò che sarà concepito nei secoli a venire, quando i nuraghi diverranno strutture a tholos con una funzione prevalentemente di difesa e le abitazioni civili saranno edificate attorno ad essi). Cominciamo la nostra visita varcando in fila indiana una soglia ampia circa 1,80h x 1,40l. sorretta da un grande architrave oltre il quale, sulla sinistra, si trova una scala in pietra che utilizziamo per salire sul tetto. Da qui si domina gran parte della pianura e si nota perfettamente l'area col Santuario di San Mauro. Rispetto al suolo siamo circa 5m. di altezza. La copertura in pietra che sovrasta il nuraghe si è conservata nel tempo per quasi la totalità della struttura. Solo pochi metri del corridoio interno risultano ormai senza tetto. Ridiscendendo al piano terra percorriamo il corridoio, lungo circa 15m, la prima parte del quale risulta in ottimo stato di conservazione.
Procedendo ancora per qualche metro si giunge al secondo ingresso che, rispetto al primo, presenta un'apertura maggiore. Ultimata la visita al nuraghe, decidiamo di recarci a Laconi (distante circa 40Km.), per visitare il Menhir Museum. Il museo è stato adibito nel palazzo ottocentesco che un tempo ospitava i marchesi Aymerich. La nostra visita è assistita da una guida turistica che ci riunisce nel grande atrio per fornirci le prime informazioni e ci accompagnerà nel percorso museale che comprende diverse sale, sia al pian terreno che al primo piano, allestite con menhir provenienti da Laconi, Allai, Samugheo e Villa S.Antonio. All'interno del palazzo si trova anche una cappella dove i nobili catalani si riunivano per le funzioni religiose. Tra i diversi ambienti visitiamo anche la sala della musica. Al centro del salone si trova un bel pianoforte le cui note, come narra la legenda, a volte echeggiano nei silenziosi orari opache nenie. Terminiamo la visita al museo soddisfatti per l'istruttiva giornata trascorsa tra amici. Riprendiamo la strada verso casa sotto un cielo dipinto dal tramonto
Video: Menhir Biru 'e Concas