Ferrata di Pentumas

L'appuntamento per l'escursione odierna è fissato alle 5:00 vicino casa di Adriano. Causa malesseri stagionali, partecipiamo all'escursione solo in cinque: Adriano U., Barbara N., Francesco M., Mara S. e Marco M.. Ci accomodiamo sull' auto di Marco e partiamo con destinazione Supramonte di Oliena. Velocità da crociera, le nostre allegre chiacchiere sono puntualmente interrotte da Adriano che, all'apparenza assopito, da impeccabile navigatore allerta Marco prima d'ogni autovelox. Oltrepassata Samassi, a grande richiesta urge un buon caffè. Corteggiamo quel desiderio fino all'autogrill dopo Sardara che raggiungiamo alle 5:55. Nonostante le bariste siano visibilmente assorte nel loro daffare, per convincerle ad aprire prima delle 6:00 non c'è proprio niente da fare. Neppure è valso il tentativo di Barbara di buttar giù la porta a spintoni! Qui fuori, al freddo, siamo in compagnia di un bel gatto bianco che scruta dalla porta a vetri ogni spostamento delle intente bariste. Poi, voltandosi con aria stizzita sembra dirci: "Ajòò! che è ora!" Il bar apre, finalmente, alle 6:03, facendoci perdere otto preziosi minuti dal sospirato caffè. Dopo un croissant ed un caffè caldo, riprendiamo la corsa.
Nel frattempo Adriano, nel suo perenne dormiveglia, non fa altro che farfugliare: "fermatevi al bar di Ottana che mi conoscono!". Giunti al nebbioso bar di Ottana, scendiamo dall'auto passando dal clima tropicale dell'abitacolo ai 4° gradi di "temperatura ambiente". Accompagnati dal noto Adriano, chiediamo al barista se veramente lo conosce ...e lui, con occhiata d'intesa risponde: "Ceeerto che lo conosco!". Dando cenno d'assenso per la simpatica asserzione, non possiamo che sorseggiare beatamente un altro caffè. Ripreso il viaggio, voltiamo per Nuoro e, superata Oliena, arriviamo nell'area di Sa Oche intorno alle 8:25, parcheggiando l'auto nello sterrato all'uscita di Pentumas. Giusto il tempo d'indossar l'imbrago e, con pungente frescolino che rasenta i zero gradi, alle 8:45 parte il trekking d'avvicinamento alla ferrata. 
Camminando in questi luoghi remoti diventi consapevole d'ogni passo e le sensazioni si acutizzano, facendoti entrare in modalità "vivi ogni istante". Mentre l'aria frizzante comincia a pizzicar le guance, strofini le mani per ricercar tepore, percependo al contempo l'inconfondibile profumo della terra ancor bagnata dalla brina.
Con energica destrezza, avanziamo in questa magica atmosfera affrontando il canyon con i suoi grandiosi massi, per poi scegliere d'istinto la giusta via. Il consiglio è quello d'evitare il greto, passando alternativamente ai lati destro e sinistro, fino a scorgere battuti varchi tra la vegetazione che consentono di proceder oltre. Io e Barbara, da arditi esploratori, ci spingiamo sempre più avanti, quasi a colmare quell'inarrestabile frenesia d'esplorare ancor di più. Ma quando ci voltiamo, i nostri compagni son sempre dietro noi a supportar le nostre scelte. 
Con passo prudente ci inoltriamo in questa gola racchiusa tra scoscese pareti che precipitano a piombo, popolata da antichi alberi che, elevando il fusto verso il cielo, svettano verdi fronde alla perenne ricerca della luce. Nel silenzio del bosco le nostre voci echeggiano da un costone all'altro. Poco più avanti, il passo è sbarrato da macigni accatastati in stabile precarietà. L'unica via per avanzare parrebbe l'arrampicata libera. Fortunatamente, troviamo una corda, intervallata da nodi, già posizionata in parete che ci consente di scalare il costone con facilità.
D'un tratto appare l'arcata di un ampio riparo sotto roccia che, fantasiosamente, par celare un arcano tempio. Ad accoglierci, il sorriso di una fanciulla pietrificata (taluni intravvedono una madonnina). Le fattezze delicate di tale scultura trasmettono gioia, dolcezza, ma infondono anche un lieve senso di malinconia.
Dopo qualche attimo meditativo riprendiamo la via giungendo ai piedi dell'erta pietraia che conduce all'attacco della ferrata. Ci troviamo al centro di un grande anfiteatro ove gli spalti sono costituiti da lunghe scanalature disposte in parete su più livelli. Spesso presentano un percorribile falso piano, quasi sicuramente utilizzato in passato dai pastori come via comoda per evitare gli impervi dirupi. Risaliamo la pietraia e, giunti fronte alla parete troviamo poggiati, a mo' di scala 'e fustes, alcuni tronchi di ginepro che saranno d'ausilio per scalar un primo gradone.
La prima ad entrare in ferrata è Barbara, seguita da Adriano, Mara, Marco ed io. Assicurati con le longe da ferrata al cavo d'acciaio, risaliamo un tratto esposto e raggiungiamo una cengia. Qui possiamo percorrere in libera una di quelle ampie scanalature concave osservate dal basso.
Poco più avanti intercettiamo un nuovo cavo sistemato verticalmente su una parete con alcuni gradini in metallo intervallati a debita distanza. Scaliamo il breve tratto e continuiamo ad arrampicarci fino a raggiungere una lunga cengia che  presenta un percorribile dislivello negativo. L'altezza inizia ad avvertirsi, in particolare quando troviamo alcuni punti fortemente esposti che affrontiamo, opportunamente allongiati, transitando rasenti alla parete ed allungando piedi e braccia in cerca di un appiglio. L'adrenalina sale alle stelle rendendoci fortemente consapevoli. Parallelamente sentiamo crescere una spiccata sensazione di libertà. La mente, scevra dai problemi del quotidiano, è concentrata unicamente sul qui e ora ove la sensazione di tempo svanisce. 

Tutt'a un tratto la cengia s'interrompe ed il cavo di ferrata scompare dietro uno spigolo roccioso. Debitamente assicurati al cavo ci sporgiamo oltre l'angolo e prendiamo atto di dover proseguire su un tratto particolarmente strapiombante. Al posto del cavo è stata sistemata una catena a maglie larghe disposta orizzontalmente sul traverso. 

Adriano da istruzioni su come superare l'ostacolo e, scherzosamente, suggerisce di evitare d'appendersi esclusivamente alla catena, perché quel "tirare la catena", per chi sa visualizzare, può alludere a differenti improvvise conclusioni. In realtà, il consiglio e quello di utilizzare le longe fisse, tipo quelle speleo, ed avanzare agganciando alternativamente i moschettoni alle maglie della catena. Si transita poggiando i piedi su alcuni gradini in metallo fissati uno accanto all'altro e sfruttando incavi naturali. Anche più in alto, a livello della testa, sono presenti appigli naturali per sostenersi e trovare equilibrio. 
Barbara è la prima a passare, seguita da Adriano. Poi è la volta di Mara, con la quale ci ritroviamo subito dopo a scherzare nell'insidioso traverso. Ultimo Marco, particolarmente concentrato, perché oggi ha scelto d'inaugurare il nuovo imbrago. Mentre attendiamo che Barbara ed Adriano, inerpicati sulle rocce, conquistino una cengia più elevata, noi tre stiamo buoni e tranquilli, in attesa d'aver catena libera, a razionalizzare la divertente circostanza con tanta positività. Abbiamo, quindi, un po' più tempo per gustare il fantastico panorama e scattare qualche foto. Poi riprendiamo a muoverci e, con l'ausilio della catena, scaliamo il ripido costone fino a raggiungere la cengia. 
Nella cengia è disposto il cavo in acciaio e possiamo riutilizzare le longe da ferrata. Dopo alcuni metri percorsi in piano riprendiamo ad arrampicarci sul costone ritrovando la catena al posto del cavo d'acciaio. Adriano e Barbara ci attendono più in alto, su un terrazzino roccioso, ed immortalano la nostra scalata con qualche foto. 

La ferrata conclude in cima al monte. Da quassù si apre un panorama meraviglioso che abbraccia tutta la vallata. Restiamo qualche minuto assorti a contemplare questo spettacolo. 

Adriano, consultando la mappa, indica l'orientamento da seguire per discendere a valle. Ripreso il cammino, attraversiamo i primi campi solcati in direzione degli omini in pietra che segnano la via. La ripida discesa fa accelerare l'andatura mettendo a dura prova i muscoli delle nostre gambe. La stanchezza accumulata si manifesta anche quando cominciamo ad associare gli omini in pietra a sagome di animali, o ad angioletti con tanto di ali. Man mano che scendiamo di quota i campi solcati rimpiccioliscono, lasciando terreno al bosco che riconquista i propri spazi.
Quando il sentiero si delinea maggiormente, imbocchiamo una vecchia via creata dai carbonai con piazzole ancora ben conservate. Raggiunta la valle, attraversiamo il bosco passando accanto ad un singolare soggiorno fatto tutto in pietra, con tanto di tavolo, sedia e divani. Si tratta probabilmente di un punto di ritrovo per scampagnate. Ancora qualche decina di metri e, alle 13:40, rientriamo nel luogo dove abbiam parcheggiato l'auto. 

Prima di ripartire decidiamo di fare una breve visita alla grotta Sa Oche, per osservare gli enigmatici grandi occhi che scrutano perennemente il cielo. 

Abbiam trascorso una giornata solare in tutti i sensi ed è bello constatare che nel tra noi compagni il sorriso non si è mai spento.


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