Canyoning Codula Orbisi (aprile 2018)
Il CISSA ha programmato per l'ultima domenica di aprile l'escursione a Codula Orbisi, un canyon ubicato nel supramonte di Urzulei. Alla proposta aderiamo in sei: Francesco Ballocco, Carlo Tocco, Vittorio Chessa, Giorgio Caddeo, Adriano Urracci e Francesco Manca. Concordiamo di partire sabato e pernottare in un capanno ubicato nel bosco di lecci che sovrasta la gola, in modo da cominciare l'escursione all'alba di domenica mattina. Nel preparare l'equipaggiamento personale si cerca sempre la miglior soluzione per ottimizzare il carico. L'ideale è quello di viaggiar leggeri prendendo l'indispensabile ma, al contempo, si stenta a rinunciare quel qualcosa che forse potrebbe tornare utile. Il suggerimento di Vittorio è quello di stilare l'elenco di tutte le cose potenzialmente candidate all'escursione (dal vestiario alle calzature, dagli attrezzi agli utensili) ed annotarne il relativo peso in un foglio, così da poter quantificare l'effettivo carico da sostenere effettuando varie simulazioni. Detto computo potrebbe leggermente variare in relazione alla corporatura, al percorso da affrontare e tempo di durata dell' escursione.
La regola generale è vagliar le scelte con raziocinio per evitare d'appesantire quel bagaglio che poi si dovrà portare sulle spalle. Dopo svariate e non sempre ovvie considerazioni, trovo un compromesso con me stesso stabilendo che per prendere il tutto siano sufficienti due contenitori: un tubolare, possibilmente impermeabile, ed uno zaino che durante l'escursione potrò lasciare in auto. Il tubolare dovrà contenere l'attrezzatura d'arrampicata (casco, imbrago, guanti, discensori, cordini in kevlar, fettucce, rinvii e moschettoni). Inoltre, alloggerà la muta sub (indispensabile per guadare i laghetti), le scarpe da canyoning (corredate, preferibilmente, da calzari in neoprene), bottiglie d'acqua, integratori di sali minerali, barrette energetiche ed il pronto soccorso personale (disinfettante, bende, cerotti, fazzolettini, telo termico, etc.). Lo spazio occupato da muta e scarpette lo potrò poi riutilizzare per riporre l'abbigliamento che indosserò durante il trekking (scarponi inclusi). Invece, nello zaino sistemerò un telo impermeabile, una stuoia (o materassino), un sacco a pelo, una comoda tuta (o canadese, come si suol chiamare), una maglia termica, un k-way una felpa, un asciugamano (o accappatoio in microfibra) ed un cambio d'indumenti da indossare a missione conclusa (calze e mutande incluse).
A proposito di cose da non scordare, merita una menzione particolare un'esplicita esortazione di Adriano che, tra il serio ed il faceto, suggerisce: “ognuno porti il vino, che io non gliene do!”. Sabato pomeriggio c'incontriamo in sede per prendere l'attrezzatura occorrente (sacca armo, corde di varia misura, qualche barattolo a chiusura stagna ed un piccolo canotto gonfiabile). Poi, utilizzando due auto, ci avviamo verso Baunei che raggiungiamo all'imbrunire. Oltrepassato il paese proseguiamo sulla statale 125 affrontando allegramente 10,8Km. di curve contro curve fino al bivio di Urzulei. Restando sulla statale percorriamo altri 3,1Km. fino all'incrocio di Genna Croce, ove è presente lo stabile di una struttura ricettiva, e svoltiamo a sinistra su una strada con fondo precariamente asfaltato non più larga di una corsia e mezzo. Percorriamo tale carreggiata per 2,4 Km. costeggiando a destra un massiccio roccioso ed a sinistra orlando un bel precipizio con veduta aerea su Urzulei. La strada asfaltata termina sull'ampia biforcazione del pianoro di Campu Oddeu, ove è presente un cartello indicante le località raggiungibili unicamente volgendo a sinistra (Televai, Fennau, Lattorbè).
Per la nostra meta continuiamo a destra percorrendo un polveroso sterrato che dopo 3,8Km. conduce al ponte sul Rio Orbisi. Oltrepassato il fiume (che in quest'area è noto anche come Rio Codula Sa Mela, dal nome dell'omonima forra), procediamo in salita su una stradina ampia circa una corsia ricoperta da nuovo selciato che, transitando per Campo Bargios, s'inoltra sempre più fittamente nel bosco. Dopo 4,2Km. arriviamo nella località Sedda Ar Baccas ove è presente un pinneto conosciuto dai locali col nome Sa Cungiadura. Parcheggiamo le auto nel breve slargo sotto gli alberi e, accese le torce, seguiamo un breve sentiero che porta al capanno. Il luogo appare subito ospitale e confortevole. L'area, circoscritta da staccionate e passamano in legno, è corredata da una fontanella d'acqua con annesso rubinetto, un lungo tavolo con panche in legno e spazi per arrostire.
Entriamo subito nel cuile, che consente di ospitare 7-8 persone, e stendiamo sul pavimento alcuni teli plastificati sopra i quali adagiamo i sacchi a pelo. Dopo aver approntato il giaciglio, ci spostiamo al tavolo esterno per la cena. La notte ormai è calata ed i raggi di luna, filtrando tra le fronde degli alberi, accarezzano il bosco dipingendo ogni forma in chiaroscuro. Ci adoperiamo subito per accendere il fuoco. Ognuno partecipa al sacro rito con la propria tecnica, sistemando con cura tronchetti e frasche secche, lasciando i giusti spazi d'areazione per evitar di soffocare il nascituro e finendo per celebrare con composta esultanza la fiamma che pian piano comincia ad emanar calore. Tutti siam soddisfatti, ciascun convinto che il merito sia frutto del proprio indiscutibile apporto. Mentre condividiamo il cibo innalzando all'amicizia tazze del buon rosso, l'ardente compagno non vien mai lasciato solo. Ci offriamo a turno per ravvivar le braci, alimentando con rinnovato impegno il fraterno focolare. Intorno all'una del mattino decidiamo di ritirarci per riposare fissando la sveglia all'alba. Nei brevi attimi prima di assopirmi, resto incantato ad ammirare l'ingegnosa architettura del cuile con i suoi tronchi intelaiati ad arte, foscamente illuminati dalla fievole luce scordata accesa da qualche compagno ormai passato al cospetto di Morfeo.
Alle 7:30 siam tutti pronti, frementi d'intraprendere la nuova avventura. Dopo aver riorganizzato gli zaini, lasciamo il sito così come ci ha saputo accogliere. Riprese le auto, percorriamo a ritroso 500m. fermandoci nell'area antistante un fienile ove alcuni maiali cinghialati scorrazzano in libertà verso un'ampia pozza d'acqua. Mentre indossiamo imbrago e caschetto, facciamo un breve briefing riepilogando tragitto e tempi di percorrenza. L'escursione che effettueremo è concepita ad anello ed avrà una durata di 6-7 ore; pertanto, dopo aver transitato sul greto del torrente ed effettuato una quindicina di salti (tra calate e discese con ausilio di corda), usciremo a Sa Giuntura e risaliremo l'erta collina che ci condurrà di nuovo a Sedda Ar Baccas. La mattina si presenta con cielo sereno e temperature miti, ma è prevista una variazione meteo che potrebbe portare qualche precipitazione pomeridiana.
Prima d'incamminarci, Vittorio e Francesco B. portano un'auto nel luogo ove concluderemo l'escursione, onde evitarci, a fine trekking, di far a piedi il pezzo di strada che riconduce fin qui. Nel frattempo giunge un pastore col quale ci intratteniamo a conversare di bestiame, terreni e barraccos. Alle 9:15 siam tutti presenti e pronti alla partenza. Per accedere alla codula il pastore ci suggerisce un sentiero non tracciato che lambisce il suo podere e, con squisita ospitalità, ci accompagna col suo baldanzoso cane verso le rive del rio Orbisi. Raggiungiamo il canyon in una dozzina di minuti, catapultandoci all'instante in quel magnifico scenario che, stravolgendo ogni logica, testimonia l'impetuosa forza della natura. Macigni d'ogni foggia, perfettamente levigati, sbarrano il passo, offrendo opportunità d'ingegno alle nostre menti ed acrobatiche destrezze al nostro fisico. La gola, con i suoi tortuosi passaggi, gli imprevedibili salti, nonché gli strapiombanti dislivelli, diviene un'impegnativa palestra per arrampicate libere e discese su corda.
Immersi in questo caos ci ritroviamo più volte a contemplar la natura, con i suoi alberi, le piante ed i fiori che riescono a germinare nei luoghi più impervi. Imperterriti, affrontiamo labirintici percorsi a valle di torreggianti bastioni, rasentando perlustrabili caverne, districandoci in angusti passaggi, fino a discendere in spiagge pietrose che, nonostante l'incessante frenesia dell'andar oltre, elargiscono preziosi attimi per poter riprender fiato. Giunti alla Grotta Orbisi troviamo, a guardia dell'ampio ingresso, un masso calcareo tempestato da una serie di piccole fenditure rettangolari che rammentano le pietre sonanti del Maestro Sciola (pregiato scultore di San Sperate). E' documentato che, nei periodi di forte pioggia, le copiose acque provenienti dal monte Talana scompaiano all'interno di questa grotta, conosciuta anche come “S'Ingurtidorgiu de Orbisi”, riaffiorando alla luce più avanti, nella cascata di Su Cunnu e S'Ebba. Evitiamo di proseguire nella parte ipogea in quanto dovremmo equipaggiarci di ulteriori attrezzature. Varchiamo oltre la soglia solo qualche metro per ammirare una frattura sulla volta che, fendendo la roccia fino in superficie, ci regala uno scorcio di cielo azzurro.
Ripreso il sentiero, risaliamo un'accentuata pendenza fino al boschetto che domina la collina. Qui troviamo un cartello turistico intitolato “l'itinerario didattico nell'area carsica della Codula Orbisi”, con una piantina indicante il punto in cui ci troviamo ed alcune didascalie su ciò che è consigliabile visitare (Grotta Donini, Su Cunnu 'e S'Ebba, Risorgenza di Gorropu, Pischina Urtaddala, Grotta Orbisi). Riprendiamo la via con andatura costante intercettando i primi specchi d'acqua, confortevoli habitat per girini ed insetti. Cerchiamo di aggirare le pozze in vari modi, tra cui quello di transitare in equilibrio su spezzoni di tronco d'albero. Dopo 2,40 Km. dal punto d'attacco, giungiamo alla prima calata in corda. Dal tubolare preleviamo muta, scarpette e calzari e riponiamo indumenti utilizzati e scarponi. Indossar neoprene, accaldati dal perpetuo movimento, non è proprio il massimo! Tuttavia, tale protezione ci consentirà d'affrontare le fresche piscine e difenderci da eventuali punture d'insetto. Giorgio, dopo essersi allongiato con la sua daisy chain ad un anello fissato sulla parete destra, predispone la corda per la calata.
Propongo di scendere per primo e, dopo un salto di circa 5m., atterro ai margini di una vasca colma d'acqua. Ma evitar di bagnarsi è utopia! Infatti, per proseguire è necessario attraversare una pozza ben più grande. Francesco B. va in testa al gruppo e, dopo averci affidato in custodia il tubolare con la sua Reflex, s'immerge con animo temerario nel laghetto. Raggiunta l'altra sponda, ci avverte che nel punto più profondo è presente un tronco d'albero con rami aggrovigliati. Poi, si arrampica circa 2,5m. sulla roccia, guadagnando un breve valico che si affaccia direttamente al prossimo salto. Anche Vittorio ed Adriano, seguendo le orme di Francesco, affrontano di petto la gelida piscina. Invece Carlo e Giorgio, valutando giocose alternative al guado, non fuggono occasione d'arrampicarsi in libera sulla parete puntando i piedi nei numerosi interstizi e pinzando le rocce con le dita fino a conquistar l'ambita breccia. Rimasto ultimo, dopo aver passato tutti i tubolari ad Adriano, avanzo nella pozza traversando il punto più profondo ove l'acqua mi sommerge fino al collo.
Raggiunta la parete opposta,mi arrampico sulle rocce con la forza delle braccia fino al varco roccioso ove sostano Carlo ed Adriano. Dopo essermi allongiato all'armo disposto sulla parete sinistra, posso gustar un breve scorcio su Pischina Urtaddala. Nel frattempo, Giorgio, Vittorio e Francesco B. manovrano su un terrazzino posto 4m. più in basso comunicandoci che per arrivare all'armo di calata occorre traversare un tratto di parete alquanto esposto. Giorgio va avanti per primo e, con sicura fatta dai compagni, transita circa 3m. verso destra su una stretta scanalatura orizzontale. Mentre procede, convoglia la corda su altri due anelli posti a breve distanza tra loro fino a raggiungere l'ultimo armo. Dopo il lancio della corda si rende conto che la stessa, dopo un tratto di sconnessa discesa, entra in attrito con la roccia. Per evitar l'inconveniente conveniamo di proseguire con una calata assistita. Quindi, Giorgio fa scorrere con prudenza la corda verso Francesco B. (il primo a calarsi), che procede con una discesa lenta e controllata. L'ingegnosa manovra risulta tecnicamente sicura ma, per tempi e ritmi che non possono essere perfettamente sincronizzati, conferisce al compagno in calata la strana sensazione di non gestire i movimenti in autonomia.
Mentre gli amici che mi precedono si susseguono con le rispettive calate, discendo i 4m. che mi separano dal terrazzino ed attendo il mio turno allongiandomi ad un anello posto 50cm. sopra il calpestio. Poi raggiungo Giorgio, che si è offerto di far sicura a tutti presidiando l'armo, e mi preparo al salto. Dopo i primi 6m. di ripida discesa mi soffermo sul ciglio dello strapiombo ad osservare il panorama. Pischina Urtaddala risulta racchiusa tra alti bastioni rocciosi ed è custodita da una maestosa volta che, proteggendola dalla luce, conferisce all'acqua una trasparenza plumbea (per tale motivo viene chiamata anche lago nero). Riprendo la discesa effettuando una spettacolare calata di 30m. sul vuoto. Mentre atterro su una sottile lingua di sabbia incrocio lo sguardo di una comitiva di francesi che, accomodata su alcune rocce, assiste divertita alle nostre esibizioni. Sulla scia dell'entusiasmo, quasi a tracciar memoria di tali preziosi ed inconsueti lidi, Francesco B. e Vittorio manifestano l'idea di coglier l'attimo con un fresco tuffo nel lago.
Mentre tutti raggiungiam la riva e leviamo gli zaini per qualche attimo di relax, siam mossi quasi subito dal desiderio d'esplorare l'ampia cavità che ingloba la grotta. Celermente saliamo sugli scogli e, per trovar qualche suggestivo angolo da fotografare, conquistiamo il punto più alto arrampicandoci su alcuni lastricati rocciosi che, frapponendosi a sfoglia, scoscendono fino a sommergersi nell'acqua. L'intera area è disseminata da massi precipitati dalla volta e, nelle concavità laterali, son stipati grovigli di rami traghettati dal torrente quando ancor godeva d'impetuoso scorrimento. Discesi sulle rocce inferiori, ci soffermiamo ad osservare le tonalità verdi-giallognole assunte dall'acqua grazie alla rigogliosa presenza dell'erba stellare primaverile (Callitriche palustris). Per qualche istante la nostra attenzione vien rapita da dorati raggi di sole che, diffondendosi da un'estremità della cupola, luccicano sul placido lago svelando una meravigliosa immagine speculare della grotta.
Lasciata Pischina Urtaddala intercettiamo una curiosa concrezione rocciosa costituita da due lunghi incavi disposti a binario, separati tra loro da un lieve avvallamento, che fantasiosamente fanno sovvenire l'idea di un'antica strada solcata da ruote di carro. Proseguendo, ci introduciamo in una via sempre più ingrottata spesso ostruita da ricurvi macigni che ne sbarrano il passo. Effettuando alcune brevi disarrampicate giungiamo in un loggiato chiuso da un parapetto roccioso. Sul calpestio rileviamo un pertugio, creato nel tempo dalla forza del torrente, che permette il deflusso dell'acqua durante le piene invernali. Dopo esserci arrampicati sul cornicione adoperiamo l'armo predisposto sulla parete destra (costituito da due anelli ed una catena) e ci caliamo sul terrazzino sito qualche metro più in basso, ove troviamo un altro armo simile al precedente. Carlo, essendo in testa al gruppo, si prepara al salto assicurandosi con una longe al primo anello e, dopo aver convogliato la corda sul secondo, sito poco più in alto, si cala su una parete di 18m. Durante la discesa si rende conto che la corda, scorrendo lungo una marcata scanalatura verticale, s'incunea in una frattura posta tra il costone ed una guglia rocciosa.
Per evitare d'introdursi in tale anfratto, identifica un punto ove abbandonare la calata e, dopo una breve arrampicata, raggiunge un valico roccioso, ampio circa 3,5x4m., posto tra strapiombanti falesie che precipitano in acqua. Stesso percorso è seguito anche da Francesco B. ed Adriano che, concordi con Carlo, decidono di deviare la diagonale della corda alle nostre calate in modo da trainarci direttamente nel punto ove stazionano. Siam confortati d'esser sulla corretta via per la presenza in situ di alcuni anelli ove convogliar la corda per il prossimo salto. Precede il mio turno Vittorio che, discendendo la ripida falesia, quasi scompare nella cavità sempre più oscura. Dopo la libera, mi appresto anch'io ad incanalarmi tra le anguste pareti che, restringendosi quasi ad imbuto, m'inducono a rasentar la schiena sul costone opposto. Concludo i 16m. di calata direttamente in acqua, cercando di trovar stabilità coi piedi su alcuni scogli. Immerso fino alla vita, svincolo rapidamente il discensore dalla corda e comincio a nuotare tra le cupe acque di un ombroso corridoio che, ingrottandosi ulteriormente, sfocia a sinistra in un rischiarato laghetto recintato da alti costoni.
L'ultimo a raggiungerci è Giorgio che, nuotando pacificamente a rana, sospinge il tubolare avanti a se fino a guadagnar la sponda. Sulla parete destra è ubicata la Grotta dei Colombi che ci ripromettiamo d'esplorare in una futura escursione. Per uscir dall'acqua ci arrampichiamo su un gradone longitudinale e raggiungiamo alcuni scogli circoscritti da una parete con un ampio e profondo incavo che s'innalza dal suolo circa 4m. L'assenza di appigli, quali spuntoni o intercapedini, non ci consente d'arrampicarci ed oltrepassare l'ostacolo. A supportarci in tale difficoltà troviamo predisposti in loco alcuni spezzoni di corda fissati a monte, intervallati da nodi, che penzolano alla giusta altezza, pronti ad essere utilizzati. Il primo ad affrontare la parete è Giorgio che scala le asperità della rupe utilizzando le asole della sua longe a mo' di gradino. Segue Adriano che s'inerpica adoperando i pedali creati con i suoi cordini in kevlar, riuscendo con tenacia a raggiungere la sommità. I due compagni dispongono subito una corda per assisterci a superare l'impervio passaggio.
Però, Francesco B. non vuol privarsi il piacere di scalar col proprio ingegno e, utilizzando longe, staffe e moschettoni, si arrampica fino conquistar la meta. Man mano che raggiungiamo la cima ci allongiamo all'armo sito sulla destra e, varcato un grande arco che corona il rilievo, effettuiamo circa 12m. di calata. Il salto termina in una pozza con fanghiglia di foglie e rami, al limite di un canalone che degrada ulteriormente verso sinistra. Risaliti qualche metro, con l'ausilio di una corda scaliamo una parete liscia ed incavata, alta circa 2,5m., e raggiungiamo un dosso roccioso. Dopo aver convogliato la corda sull'armo posto sulla parete destra (2m. sopra un'insidiosa buca), discendiamo un terrazzino chiuso da un davanzale roccioso che preludia un fantastico salto di 35m. Dopo essermi allongiato sul lato sinistro, scavalco il parapetto roccioso e trovo stabilità su un sottostante gradino ove posso comodamente prepararmi al salto. Mentre mi calo posso osservare nitidamente il caratteristico costone calcareo che conduce a Sa Giuntura.
Giunto sul fondo mi dirigo al prossimo salto soffermandomi ad osservare la morfologia di quest'area, nonché il daffar dei miei compagni. Un centinaio di metri alle mie spalle, al centro di un'ampia parete, appare la cascata di Su Cunnu e S'Ebba dalla quale oggi sgorga solo un labile rigagnolo d'acqua (ciò giustifica la presenza delle diverse pozze acquitrinose, spesso tappezzate da una fioritura d'alghe ed orlate da prospere felci). Fronte a me si snoda il sinuoso canalone che dobbiam ancora da percorrere, con salti sempre meno ragguardevoli, seppur costantemente insidiosi. Giorgio, distante una trentina di metri da me, è intento a studiare il percorso, preceduto da Vittorio, impegnato in un'arrampicata libera, ed Adriano giunto al termine della prossima calata. Invece Francesco B., sito una decina di metri dietro me, sta manovrando con fotocamera e cavalletto; mentre Carlo, in coda al gruppo, sta recuperando la corda utilizzata nell'ultimo salto. Dopo la libera di Adriano eseguo una calata di circa 8m. con i piedi puntati in parete e, mantenendo sempre la corda sul discensore, procedo ancora un tratto per superare in sicurezza scivolosi dislivelli.
Dopo aver transitato su un lastricato di ciottoli, mi arrampico fino a raggiungere il prossimo salto di 5m. trovando l'armo sulla parete destra. La breve calata s'incanala tra le rocce e termina dentro una pozza che cerco d'evitare atterrando su alcuni sassi. Continuo a procedere all'asciutto transitando sopra gli scogli che, costeggiando la parete, effettuano una stretta svolta a destra. Dopo la curva, però, il percorso include obbligatoriamente il guado di alcune pozze. Sebbene l'acqua non sommerga oltre la vita, l'attraversata richiede attenzione in quanto sul fondo son presenti buche, grovigli di rami e massi. Fiancheggiando sempre il medesimo versante, effettuo una breve arrampicata fino a trovare l'armo che predispone al nuovo salto. Dopo 5-6m. di calata atterro dapprima su un breve terrazzino, poi, qualche metro più in basso, m'immergo con le gambe in una pozza acquitrinosa. II livello dell'acqua non sale oltre al ginocchio, ma la fanghiglia non permette di vedere ove metter piede. Al termine del guado intercetto il nuovo armo sito sempre sulla parete destra.
Quest'ultimo tratto del greto, con ritmiche arrampicate, disarrampicate, passaggi in corda e destrezze d'ogni sorta, seppur estenuante, continua ad essere avvincente. Si percepisce, ormai, che la codula sta giungendo al termine. Lascio, quindi, passar tutti avanti e, ultimo della retroguardia, mi concedo attimi di silenziosa tregua per poter percepire suoni e sensazioni di questo singolare spazio. Son pur convinto che anche i compagni non restino indifferenti a tali emozioni. La nuova calata, contrariamente alle precedenti, non si frappone tra le rocce, ma è disposta diagonalmente lungo grossi massi che, degradando ripidamente, conducono dentro un canalone posto tra alti costoni. Termino il salto pochi metri da una caverna col fondo ricoperto da bianchi ciottoli. Nel frattempo cominciano a cadere sporadiche gocce di pioggia. Dopo aver recuperato la corda percorro un corridoio roccioso con pareti talmente strette da consentirmi di toccarle con entrambe le braccia. A poca distanza intravvedo Giorgio sopra alcuni massi mentre si appresta ad effettuare un nuovo salto. Dopo averlo raggiunto mi allongio all'armo posto sulla parete sinistra, sito 2 m. sopra il calpestio, e, atteso il mio turno, mi calo lungo un angusto passaggio che termina ai bordi di una pozza.
Poi procedo dentro l'acqua fino ad arrampicarmi su alcuni massi che, volgendo all'ultimo salto, preludiano l'uscita dalla codula. Dopo una ventina di metri, giunto fuori dal canyon, ritrovo l'allegra brigata dei miei compagni. Nonostante i visi stanchi, nei nostri animi c'è tanta soddisfazione, non solo per aver concluso un magnifico percorso, ma per la sintonia che costantemente ha pervaso tra noi. Ancor del tutto adrenalicini riprendiamo la via volgendo a sinistra, un centinaio di metri in direzione nord-est. Continuando a costeggiare il greto che si apre in spazi sempre più ampi, transitiamo su lastricati calcarei fino ad attraversare un'area sabbiosa disseminata da ciottoli che, terminando innanzi ad un alto costone, frana ai margini d'una pozza d'acqua. Poi, seguendo la naturale curvatura del torrente, ci dirigiamo a nord, verso la Cascata di Sa Giuntura. Durante il percorso incrociamo una coppia di turisti francesi di mezz'età alquanto disorientati che non riescono a ritrovar la via per Sedda Ar Baccas.
Considerando che siam diretti nella medesima direzione, proponiamo loro d'aggregarsi. Dopo circa 200m., ancor prima di raggiungere Sa Giuntura, intercettiamo a sinistra un sentiero che risale un colle (Sa Schina Sa Reiga), che diventa subito erto ed impegnativo. Nel cielo le nuvole pian piano si diradano lasciando spazio a spiragli di sole. Stanchi ed accaldati, con attrezzi e tubolari in spalla, risaliamo la lunga ed arida rampa rupestre in direzione sud-est. In tal frangente i due francesi, identificata la via, desistono dal procedere con noi e silenziosamente abbandonano la marcia. Estenuati, alcuni amici levan la giacca della muta e proseguono a petto nudo, sperando che qualche alito di vento conceda fresco sollievo. Anche questa prova, che si potrebbe considerare quasi una sfida allo sfiancamento, in realtà è un'opportunità per testare quei limiti, arbitrariamente fissati dalla mente, che ora possono essere verificati, metabolizzati e, con fede, oltrepassati. Sovente, in soccorso, sopraggiunge lo spirito di gruppo che, con forza e caparbietà, compensa ogni carenza e sostituisce quel sinuoso pensier del rinunciare con valide motivazioni per insistere, avanzare e vincere.
Dopo circa 700m. di sostenuta scarpinata, effettuata più tratti zigzagando, giungiamo in cima al colle trovando un'area boschiva oltre la quale il sentiero diviene più dolce e maggiormente delineato. Trecento metri più avanti passiamo accanto ad una tomba dei giganti, ormai ridotta ad un cumulo di pietre. Raggiungiamo, poi, una recinzione ove alcuni maiali pascolano nei pressi di un abbeveratoio (da tale punto l'auto dista circa 150m.) Poco più avanti, ai bordi del sentiero sia erge un magnifico tasso secolare. Raggiunta l'auto, la nostra avventura giunge al termine, ma prima di concluder la giornata decidiamo di fermarci a mangiar qualcosa tutti insieme. Quindi, riprese le auto ci avviamo verso Baunei e, circa 10km. oltre il bivio di Urzulei, entriamo al parco del Monte Leopene. Accomodati su un tavolo con panche in pietra, condividiamo fraternamente le ultime cibarie. Dopo esserci dissetati con acqua di sorgente, riprendiamo la via di casa.
Video di Vittorio Chessa