Ferrata Pan di Zucchero (dicembre 2015)



Oggi è in programma la ferrata all’isolotto “Pan di Zucchero”. Si tratta di un faraglione calcareo il cui nome originario è Concali su Terrainu, alto 133m., esteso 3,72 ettari, distante 1,50 Km. dalla spiaggia di Masua. Si è formato dal progressivo distacco dalla terraferma di Punta Is Cicalas (iniziato nell’era cambriana). Prende il suo caratteristico nome dalla somiglianza ad una zolla di zucchero. Tale forma deriva dal modellamento effettuato dall’azione erosiva delle piogge e dei venti di libeccio e maestrale. Per raggiungerlo ci imbarcheremo sul gommone di Carlo, che ha fissato l’appuntamento alle 9:00 al porto di Portoscuso. La giornata è soleggiata, con cielo limpido, assenza di vento e mare calmo. Arriviamo al molo tutti puntuali ed anziché caricare sul gommone bombole e gav, come usualmente facciamo nelle uscite per le immersioni, imbarchiamo corde e zaini con attrezzatura da scalata. In tutto (me compreso), siamo undici: Carlo, Margherita, Francesco, Betty, Vittorio, Maria Grazia, Simona, Roberto B., Roberto E. e Nicola. Salpiamo alle 9:38, euforici già dalla partenza per l’avvincente impresa.

La navigazione procede a velocità da crociera, consentendoci di poter tranquillamente ammirare le coste del tratto di mare tra Portoscuso e Masua. Non mancano le soste per scattar innumerevoli foto ed immortalare simpatici istanti di felicità. Una di queste la effettuiamo a Porto Paglia, di fronte al rudere di una torre spagnola costruita nel 1598 per la difesa del golfo dalle invasioni arabe. La particolarità della costruzione sta nelle fondamenta in quanto anziché essere circolari hanno la forma di prua di nave, in modo da preservare la struttura dalle mareggiate di maestrale. Oltrepassata la grande spiaggia di Plag’e Mesu, percorriamo il litorale di Nebida, transitando tra i faraglioni, fino ad arrivare ai vecchi stabili della Laveria Lamarmora, (raggiungibili anche dal belvedere di Nebida tramite una ripida discesa), che ammiriamo da un’inconsueta prospettiva marina. Restiamo qualche istante a contemplare il contrasto dei colori tra il bruno delle rocce ed il verde smeraldo dell’acqua, poi riprendiamo la navigazione accostandoci per una rapida visita all’insenatura dove Carlo, Andrea e gli amici di Ajòò Dive, hanno girato il video per il concorso DAN Europe 2015 (sfiorando il 1°posto per una manciata di voti).

Giunti alla spiaggia di Masua, sbarchiamo a terra per consentire Carlo di traghettare un gruppo di scalatori (tra cui Stefano C.), che effettueranno la ferrata prima di noi. Nel frattempo ci raggiungono Graziella con la figlia Michela ed Alessandro A., mentre a bordo di una canoa viene a salutarci Giorgio C. che poi riprende il mare scivolando fluidamente con prua verso il maestoso faraglione calcareo. Attendiamo all’ imbarcadero una ventina di minuti ed ecco rientrare Carlo che ci invita a salire sul gommone per continuare l’esplorazione lungo la costa. Dopo aver transitato difronte l’imboccatura a mare della Miniera Porto Flavia, raggiungiamo la Grotta Azzurra, famosa per la caratteristica conformazione dell’ingresso che, se osservato dall’interno verso l’esterno sud, crea una spettacolare sagoma raffigurante i contorni della Sardegna. Continuiamo la passeggiata lungo il litorale costeggiando tante grotte marine ed osservando la conformazione dei diversi strati rocciosi, geologicamente tra i più antichi della terra sarda.

Oltrepassato Canal Grande di Nebida, raggiungiamo Porto Sciusciau dove, sul costone nord, è presente una grotta con un’enorme apertura identificabile fin da Portoscuso. In ogni gruppo speleo che si rispetti, come il C.I.S.S.A., non può certo mancare l’attrezzatura per i rilievi topografici. Pertanto, armati dei giusti strumenti quali cordella metrica, bussola ed eclimetro, procediamo alla misurazione calcolando azimut, orientamento e coordinate, nonché scattando foto da diverse angolazioni in modo da acquisire sufficienti elementi che possano consentire un’attendibile riproduzione planimetrica su carta. Ormai sian giunti fin qui! Che facciamo? rientriamo senza prima aver dato una rapida occhiata a Cala Domestica? Così, ammaliati dal fascino di questi lidi, proseguiamo la navigazione doppiando il promontorio sovrastato da una seconda torre spagnola e ci introduciamo con dovuta reverenza in questa lunga insenatura per ammirare le impagabili bellezze naturali che la nostra terra ci regala. Poi, iniziamo il percorso di rientro, facendo rotta direttamente verso Pan di Zucchero.

Ormai son trascorse circa due ore da quando il primo gruppo di ragazzi ha cominciato la ferrata, pertanto Carlo con la ricetrasmittente contatta Stefano C. avvertendolo del nostro imminente arrivo, in modo tale che con i suoi amici possa prepararsi a lasciare il sito e dare la “libera” al nostro gruppo. Raggiungiamo rapidamente l’isolotto e varchiamo le due gallerie marine ubicate rispettivamente a nord e sud del faraglione, fino a giungere difronte alla parete dove inizia la ferrata. Iniziamo la vestizione direttamente sul gommone, indossando casco ed imbrago. Nel frattempo, Carlo manovra il gommone accostandolo quanto più possibile all’unico approdo costituito da alcune rocce site a livello dell’acqua sulle quali è stato creato un basamento in calcestruzzo lungo circa 1,5m. Quindi, sbarchiamo uno per volta allongiandoci su un cavo in acciaio fissato sulla parete. Poi, sostenendoci su alcuni pioli in acciaio predisposti sulla roccia, cominciamo a percorrere il primo tratto della via ferrata denominato Sentiero del Minatore. Ci arrampichiamo sul ripido costone risalendo un dislivello di circa 6m. fino a raggiungere il terrazzo pianeggiante dove ci attendono i ragazzi del gruppo precedente.

Carlo, Margherita, Graziella e Michela restano sul gommone e non parteciperanno alla ferrata. L’ultimo a raggiungerci è Nicola, liberando la via al primo gruppo che ora può imbarcarsi per il rientro. Da questo terrazzo (battezzato Piazzale Cuccu dal nome del primo impresario Luigi Cuccu Utzei), si diramano diverse gallerie utilizzate dai minatori dal 1914 al 1958 per la ricerca e l’estrazione di piombo e zinco. I minatori raggiungevano questi spazi, nonché la sommità del promontorio, tramite delle scalette a pioli ancorate alla roccia. Nonostante la breve distanza con la terraferma, sovente a causa di forti mareggiate erano costretti a restare isolati anche per giorni. Per questo motivo furono costruite delle baracche in legno adibite ad alloggi e mensa; mentre, circa 8m. più in alto dal piazzale, fu ricavato il deposito per lo stoccaggio della dinamite. La ferrata ricomincia proprio dal piazzale, seguendo il passaggio a destra di una galleria. Procediamo allongiati risalendo un arcata di lastroni di roccia incastrati l’uno sull’altro fino ad un breve sentiero che conduce alla parete.

Da qui proseguiamo, sempre in fila indiana, una ventina di metri su una cengia passando accanto all’ingresso della Galleria Pinna (creata nel 1923). Io sono il penultimo, seguito da Roberto B., mentre prima di me ci sono Alessandro, Simona, Maria Grazia, Roberto E., Francesco B. (con Go Pro sul casco), Nicola (con occhiali a specchio verdi), Betty e infine Vittorio che procede sicuro portando qualche decina di metri di corda sulle spalle. Terminata la cengia iniziamo ad arrampicarci, risalendo metro dopo metro le ripide rocce di calcare ceroide. Durante il percorso rileviamo diversi reperti di archeologia mineraria, come vecchi chiodi, cavi in acciaio con tiranti ancora ben fissati alla roccia e diversi pali in legno. Raggiunta la cima si apre un panorama bellissimo: tra le bianche guglie rocciose s’intravvedono nitidamente i faraglioni di Nebida: Il Morto e S’Agusteri. Il percorso prosegue lungo un sentiero che porta ad un bivio con un cartello indicante a sinistra il percorso per la calata e a destra il proseguo della via ferrata.

Risaliamo il sentiero ancora per qualche metro fino a giungere alla cassetta dov’è custodito il “Libro di Via”, che ospita firme e pensieri di tutti gli escursionisti che hanno visitato questo luogo. Anche noi, uno dopo l’altro, lasciamo traccia del nostro passaggio con la firma sul grande libro. Nel frattempo mi diletto a scattar tante foto per immortalare questi unici istanti, quasi per catturare le emozioni dei miei compagni che gioiosi come bimbi si soffermano a scherzare amichevolmente. Oltrepassato il punto dov’è ubicato il libro di via, la ferrata prosegue verso la cima del promontorio, terminando su un ampio spazio con pendenze accettabili tali da poter proseguire senza protezioni. Illuminato da un tiepido sole procedi lungo il sentiero circondato dal mare che all’orizzonte si fonde con il cielo.

Dopo circa 200m. in direzione ovest arriviamo sulla vetta accolti dallo sventolare della bandiera dei quattro mori (fissata quassù forse dal gruppo precedente). Nel frattempo compare tra la macchia mediterranea Giorgio C., che risalendo velocemente il pendio ci raggiunge. Poggiati gli zaini, ci accomodiamo tra le rocce e per un tempo indefinito restiamo a gustare un panorama stupendo. Ovviamente ne approfittiamo per ristorare oltre la mente anche la pancia con panini, birrette e boboetti. Riprendiamo il trekking dirigendoci verso la punta est (il pianoro superiore del promontorio si estende longitudinalmente da ovest ad est per una lunghezza di 245m.)

Il sentiero da seguire è indicato da una serie di omini in pietra. In quest’area son presenti diversi pozzi aperti, creati per gli scavi minerari. Procediamo verso la scogliera sud dove, quasi a picco sul mare, è ubicato il telaio di un argano a mano utilizzato per il trasporto del materiale dal livello del mare alla sommità del piazzale Cuccu. Da questo punto è possibile procedere ancora verso est dove, attraversando un precario ponticello creato da massi accatastati, si accede su un promontorio inferiore ricoperto da una vegetazione più rigogliosa. Ritornando sui nostri passi, oltrepassato l’argano, ci avviamo al punto dove abbiamo lasciato la via ferrata per percorrerla a ritroso. Giunti al bivio per la calata, Maria Grazia e Simona preferiscono ritornare al punto d’imbarco proseguendo a discendere la ferrata. Mentre noi proseguiamo con prudenza un breve ma ripido sentiero non più attrezzato dai cavi di ferrata, che giunge fino al punto di giunzione tra due massicci rocciosi, creando un pozzo naturale che termina direttamente in acqua.

Giorgio C. inizia ad organizzare per la calata in corda doppia, passando la corda su due occhielli preesistenti, tassellati alla roccia, orientati orizzontalmente a circa 30cm. di distanza. Il primo a collaudare la calata è proprio Giorgio, seguito Francesco B. e da Alessandro. Nel frattempo il sole continua a calare ed il cielo si tinge dei caldi colori del tramonto. Mentre Carlo traghetta Alessandro, Graziella e Michela a terra ( in quanto hanno l’auto alla spiaggia di Mausa), con la supervisione di Vittorio inizio a prepararmi sostituendo la longe per la ferrata con quella per la calata che viene assicurata all’imbrago con una gassa d’amante doppia. Quasi tutti sono attrezzati col discensore “otto”; invece io utilizzerò il discensore “verso”, mentre Vittorio utilizzerà il “reverso”.

Puntando i piedi sulla roccia mi sbilancio all’indietro per creare più peso ed iniziare una fantastica calata di 45m. Nel primo tratto sono presenti diverse rocce su cui far appiglio con i piedi. Sopratutto all’inizio scendo lentamente e devo aiutarmi facendo scorrere la corda con le mani. Poi, raggiungo un piccolo terrazzo dove son presenti vecchi tasselli arrugginiti, utilizzati per qualche calata in tempi non recenti. Man mano che la discesa continua la corda scorre sempre più velocemente. Ora non ci son più rocce dove puntare i piedi e la calata prosegue per diversi metri nel vuoto, con le corde che terminano in acqua. Giunto circa a 1,5m. dall’acqua, arresto la discesa ed attendo di essere recuperato dal gommone che, per prevenire eventuali cadute di massi, attende fuori dalla galleria.

Salito a bordo, do la “libera” per far calare Nicola. Segue Vittorio che ci regala come sempre magnifici scatti fotografici, anche dalle più disparate angolazioni. L’ultima a calarsi è Betty che provvede anche a sciogliere i nodi dagli anelli e recuperare i moschettoni. Soddisfatti per la magnifica giornata ci prepariamo per il rientro, coprendoci con ogni indumento per fronteggiare il vento e schizzi d’acqua di mare che sta iniziando ad incresparsi. Sbarchiamo a Portoscuso stanchi ma felici, seduti in cerchio sulla banchina a sgranocchiare gli ultimi viveri e gustare panettone con spumante.