Trekking Cala Biriola (maggio 2016)


Ieri sera, rientrati al rifugio Goloritzè dal meraviglioso ed impegnativo trekking con i miei compagni del Centro Iglesiente Studi Speleo Archeologici, la prima cosa che abbiam desiderato fare è stata quella di toglierci gli scarponi e ristorarci con una bella doccia rigenerante. Poi, pian piano ci siam ritrovati seduti ad un tavolo nel porticato e, nell’attesa che arrivassero due ragazzi baunesi, amici di Francesco B., ci siamo intrattenuti a chiacchierare, sorseggiando qualche fresca birretta Ichnusa obbligatoriamente al bacio. Verso le 21:00 con i nostri amici ci siamo recati nel salone del rifugio per la cena. Dopo gli antipasti di terra, abbiamo gustato abbondanti portate di ravioli sardi col tipico ripieno di patate, cipolla e menta. A tal proposito, sorrido al ricordo del pecorino grattugiato caduto casualmente più volte nel piatto di un compagno. Giuseppe, che vive qui in Ogliastra, ha voluto portare in tavola qualche bottiglia del suo vino e, stranamente, non ha dovuto insistere neppure un poco per farcelo assaggiare! A corredo finale, dall’allevamento privato del nostro amico, è stato servito il porchetto arrosto.

Dopo cena ci siamo seduti su un tavolo nel patio a chiacchierare con Antonio (amico e guida del Rifugio), che da ottimo padrone di casa ci ha offerto un suo liquore alla liquirizia. Questa mattina è in programma un trekking (che ormai soliam chiamare defaticante) a Cala Biriola. I partecipanti son gli stessi dell’escursione di ieri, escluso Giuseppe che oggi non sarà dei nostri. Nonostante la cena sia terminata solo poche ore fa (assicurando a tutti una scorta di energia più che adeguata), ora i compagni insistono per fare un’abbondante colazione a base di croissant alla marmellata e cioccolato, pane fresco con ricotta e miele, latte di capra e caffè. Verso le 9:30 ci apprestiamo a salire su due fuoristrada: io, Pasquale, Donata e Giovanna prendiamo posto sul Vitara di Adriano, mentre Francesco B, Giorgio C, Giorgio A. ed Alberto si accomodano sulla Jeep di Vittorio. Lasciato il rifugio ci dirigiamo verso nord, percorrendo per circa 5 km. lo sterrato che conduce fino all’ovile Ololbizzi. Si tratta della medesima strada che ho percorso qualche mese fa per recarmi alle calate in corda di Bacu Padente.

Giungiamo sul posto alle 10:10, parcheggiando le auto a poca distanza dall’ovile. Qui incontriamo due ragazzi (Massimo e Gabriele), che dopo averci chiesto informazioni sulla direzione da seguire, in considerazione che siam diretti tutti nel medesimo luogo, scelgono di unirsi al nostro gruppo. Quindi, lasciato lo sterrato, cominciamo il trekking su un sentiero che risale il versante nord di Bacu Padente. Per una decina di minuti percorriamo alcuni tornanti della vallata attraversando la macchia mediterranea composta da piccoli arbusti, su un percorso misto tra terra e ciottolato calcareo, fino a giungere lungo la pista della quinta tappa del Selvaggio Blu. Da qui il sentiero è più evidente e prosegue su una mulattiera sostenuta in alcuni tratti da muretti in pietra. Raggiunta l’altura, il percorso verte leggermente in discesa, consentendoci di gustare un invidiabile panorama. Il mare è una costante dominante. Può esser forse distante, ma è sempre innanzi a noi ed è meraviglioso osservare quei giochi creati dai rami intrecciati dei ginepri che, attraverso verdi fronde, risaltano su quel profondo blu.

Il contrasto tra terra e mare è puro spettacolo! …ed è ancora più straordinario quando alla terra ed al mare si unisce anche il cielo, forgiando un sublime intreccio che culmina fino ad abbracciare l’anima …offrendoti l’opportunità per ritrovare te stesso, qui ed ora! La cala è caratterizzata da un alto frangente roccioso che, rompendosi quasi di netto, espone la nuda parete calcarea precipitando per circa 200m. fino al sottostante boschetto di lecci e ginepri. La vallata prosegue scoscesa terminando con un altro salto, più modesto, che volge alla costa rocciosa lambita dal mare, per terminare a nord con uno splendido arenile sabbioso. Rispetto alla nostra attuale posizione, la cala è orientata a nord-est, con un dislivello di circa 320m. Ora, abbandoniamo il sentiero del Selvaggio Blu per seguire le tracce che conducono alla Cala. La discesa prosegue attraversando una macchia di piccoli arbusti fino a giungere, dopo circa un’ora dall’inizio del trekking, su alcuni massi calcarei dove troviamo un breve passaggio ferrato. Uno per volta ci apprestiamo a discendere un dislivello di circa 25m. sostenendoci al cavo metallico, per poi transitare sopra un ponticello sospeso sul vuoto, creato con tronchi in ginepro (una scala fustes orizzontale).

Terminiamo gli ultimi metri, con l’ausilio di uno spezzone di corda, su un ampio terrazzo sterrato. Le tracce proseguono in discesa sugli stretti tornati di una pietraia, perdendosi dopo circa 250m. su una precaria franata che si affaccia allo strapiombo. Ma, alla nostra sinistra notiamo un piccolo passaggio che conduce su un versante laterale. Da tal punto lo sguardo volge sull’invidiabile insenatura marina e sul boschetto sottostante che ci apprestiamo a raggiungere. A tal proposito, troviamo disposta sulla parete una scala in metallo che termina su una lunga passerella creata con tronchi e rami di ginepro. Il gioco, ingegnato con tali strutture di supporto, risulta originale e molto divertente. Il percorso ora prosegue inoltrandosi nel boschetto. Dopo qualche decina di metri troviamo una piccola caverna posta alla base delle alte pareti di arenaria, che può fungere da comodo riparo durante violente intemperie. Poi iniziamo una discesa lungo il sentiero che taglia trasversalmente il bosco.

Tra gli alberi più a monte si trovano accatastati massi di diverse dimensioni, precipitati pesantemente a valle dalle maestose falesie. Siamo giunti ad un punto dove proseguire diventa particolarmente impegnativo ed il scegliere la giusta via appare alquanto discrezionale. Per tale motivo Gabriele e Massimo decidono di staccarsi dal gruppo per proseguire su un percorso non indicato nel nostro itinerario. In effetti, non siamo riusciti ad interpretare alcun segno che possa confortarci d’essere sul corretto cammino. Ma Francesco B., utilizzando mappa e gps, riesce ad identificare il sentiero che risulta transitare su un livello una ventina di metri più in alto rispetto al punto da noi battuto. Quindi, risaliamo il pendio e, sempre dentro al bosco, affrontiamo una breve arrampicata per discendere un piccolo costone roccioso, ritrovando su alcune pietre i consueti segni che indicano la via. Dopo un buon tratto rettilineo, decidiamo di scivolare in corsa lungo alcuni ripidi tornanti tra gli alberi, scendendo più a valle fino a giungere all’altura che si affaccia direttamente sulla cala. Il luogo è incantevole e da questa prospettiva immortaliamo con scatti fotografici sia la grande spiaggia, che la lunga roccia con il caratteristico ponte sul mare.

Percorriamo gli ultimi metri che ci separano dalla scogliera su un terreno scosceso e parzialmente sdrucciolevole, che ci costringe a trovare appiglio su pietre e radici anche con le mani. Finalmente, dopo due ore di trekking, siamo arrivati a Cala Biriola, conosciuta localmente come Cala Biriala, o Bilariccoro (biriola tradotto dalla lingua sarda significa trottola). Ci raggiungono anche Massimo e Gabriele che arrivano da un percorso alternativo al nostro. Il primo a conquistare il ponte sul mare è Giorgio C., seguito a breve distanza da tutti noialtri che, allegri e giocosi come bimbi, ci divertiamo a curiosare tra i vari cunicoli e gallerie creati dai grandi massi della scogliera. Il ponte sul mare è il prolungamento di un naturale molo roccioso che al centro apre un varco (circa 6m. di larghezza x 4m. di altezza), dove scorre liberamente il mare. Il sito offre una particolare prospettiva d’osservazione che consente di ammirare uno scorcio della spiaggia incastonato in un’ideale cornice creata dall’arco roccioso.

L’attraente acqua compresa tra le rocce del molo e l’arenile, oltre ad essere di una trasparenza cristallina, contempla le tonalità cromatiche dal turchese al verde smeraldo. Ora, tutti stiamo studiando un tragitto per oltrepassare un corposo blocco roccioso ed arrivare in spiaggia. Il percorso migliore è quello di varcare un tunnel che si trova tra alcuni macigni alla base del molo. Il cunicolo, dopo aver tagliato trasversalmente il molo, conduce all’aperto su alcune rocce piatte. Da tale punto proseguiamo per una decina di metri lungo una scanalatura fino a giungere al costone roccioso che ci separa dall'arenile. Dopo esserci arrampicati per 2/3m. su tali rocce, si scorge un altro tunnel che sfocia proprio in spiaggia. Questa cala vien raggiunta più facilmente via mare (mediamente in 40min.), sia da Cala Gonone che da S.Maria Navarrese. Ora, prova ad immaginare quale traffico di natanti può crearsi nel periodo estivo! Tale meraviglioso scenario risulterebbe offuscato dalle innumerevoli barche e gommoni alla fonda e non riusciresti più a goderti il mare.

Senza dubbio, è preferibile visitare questo luogo in primavera, oppure in autunno. La spiaggia, lunga circa 150m., è composta da sabbia e sassolini bianchi (soprattutto tra la riva ed il bagnasciuga). Oggi il clima è prettamente estivo, pertanto indossiamo velocemente il costume e, senza tanto soffermarci a riflettere, ci tuffiamo in queste acque smeraldine. Poi, con Vittorio e Massimo, decidiamo di fare una nuotata fino all’arco, varcando questa magnifica porta sul mare. Nel frattempo, tra gli amici c’è chi si sdraia sulla sabbia per un bagno di sole, chi si sofferma a chiacchierare sul bagnasciuga e chi inizia a sgranocchiare qualcosina da mangiare. L’atmosfera è festosa e sui nostri volti traspare tanta felicità. Dopo aver sostato nella cala per circa un ora, riprendiamo il percorso di rientro, soddisfatti di aver assaporato la bellezza di questo incantevole luogo con tutti i nostri sensi. Arriviamo alle auto alle 14:45, dopo circa 100 minuti di cammino.