Pentumas: le 13 calate

Il CISSA, sabato 16 ottobre, ha organizzato un'escursione a Badde Pentumas, un canyon calcareo abbarbicato in un solingo angolo del Supramonte di Oliena. L'etimologia di "Badde Pentumas" potrebbe derivare dalla traduzione di "badde" in valle e "pentuma" in voragine rocciosa vertiginosamente scoscesa, forra inesplorabile. Da "pentuma" deriva il verbo ispentumare che, tradotto dal dialetto dorgalese, significa dirupare, ossia buttar giù qualcosa, o qualcuno, da un dirupo. Il programma prevede di arrivare nei pressi del Rifugio Sa Oche la sera di venerdì 15 e cominciare il trekking la mattina di sabato 16. Alla proposta aderiamo in sette: Adriano Urracci, Daniela Deiana, Vladimiro Inconis, Tore Medda, Francesco Manca, Alberto  Mura e Fabrizio Pilloni. Compatibilmente ai propri impegni personali decidiamo di partire in orari diversi dandoci appuntamento direttamente nell'area picnic del Rifugio Sa Oche. Io, Tore e Vladimiro arriviamo intorno alle 19:30 sotto un cielo rischiarato dalla luna piena che gioca a nascondino tra ombrose fronde del bosco e cime dei monti. Sul posto è già notte e dobbiamo fin da subito organizzarci con le torce frontali.
Ad accoglierci troviamo Adriano, Daniela ed Olin Lino (un compagno di escursioni). Oltre noi, che ceneremo sotto gli alberi in uno dei diversi tavoli con panche, ci sono alcuni turisti tedeschi che consumano un pasto frugale tra i loro camper disposti in quadrato. Mentre sulla nostra tavola cominciano a comparire fette di salsiccia e qualche tocchetto di formaggio, sotto la guida di Tore ci prodighiamo a preparare il giaciglio per la notte. Scelta un'area pianeggiante adagiamo un grande telone su una lunga corda tesa da due bacchette laterali alte circa 1,80 cm. e picchettiamo i bordi al suolo. L'idea è quella di pernottare sotto tale tenda con dei lettini pieghevoli da campeggio, anche se non tutti sono organizzati in tal senso ed alcuni di noi dormiranno in auto. 
Ultimato lo spartano ma geniale riparo, ci raggiungono Alberto e Fabrizio con le vivande. Ora il banchetto può avere inizio. Ci accomodiamo sulle panche attorniando il tavolo con piatti che cominciano a riempirsi di pasta al sugo con polpette, poi torte salate, fette di prosciutto crudo, salsiccia secca ed ottimo pecorino, chiaramente il tutto accompagnato da buon vino. Chiudiamo la cena con liquore e dolcetti. Come potrai immaginare ci siam voluti astenere dall'abbuffarci per preservare corpo e spirito in vista dell'imminente escursione. Dopo cena decidiamo di far due passi a piedi e recarci nella vicina Grotta Sa Oche per osservare quei due enigmatici grandi occhi che scrutano costantemente il cielo notturno.
Rientrati alla base alcuni compagni propongono una partitona a carte, ma, considerata l'ora tarda, i più saggi vanno a riposare. 
Alle 7:00 di mattina siamo già tutti svegli. Le previsioni meteo non sono tanto favorevoli in quanto, oltre al cielo coperto, è prevista pioggia. Mentre ci apprestiamo a partire per il trekking, da Padru ci raggiunge l'amico Francesco Serra che parteciperà all'escursione. Adriano ed Olin Lino vanno a parcheggiare un auto nella stradina che intercetta l'uscita di Pentumas; poi, con un'altra auto caricata con tutti i nostri zaini, imboccano lo sterrato che stiamo percorrendo e risalgono un salitone fino all'ovile/agriturismo Marghine Ruja distante 2 Km. dal Rifugio Sa Oche. 
Ricompattato il gruppo, indossiamo gli zaini ed imbocchiamo il sentiero 405 segnalato con segnavia bianco/rossi. Fabrizio racconta che la scorsa primavera fece questo trekking insieme ad Alberto fino all'attacco della prima calata. Era una giornata calda e soleggiata, poco ideale per affrontare un sentiero che risulta quasi totalmente esposto al sole. Oggi, scongiurando la pioggia, il clima ci concede di avanzare più freschi, senza farci scolare litri d'acqua. Lungo il sentiero si aprono meravigliose finestre sulla vallata di Lanaitho che c'invitano a trovare attimi ove ci divertiamo ad identificare monti e canyon visitati in passate escursioni. 

Dopo circa un chilometro da Marghine Ruja raggiungiamo l'ovile Sa Vicu I°. 
Adriano, rivolgersi a Daniela, coglie l'opportunità per ricordare a noi tutti che qui nel Supramonte bisogna diventare "selvaggi". Tradotto significa che è indispensabile guardarsi intorno ed osservare l'ambiente ricavandone punti di riferimento, senza seguire col paraocchi solo il passo che si sta facendo. Quindi, quando si seguono i compagni è importante restare vigili ed esser consapevoli del luogo ove ci si trova, in quanto anche loro potrebbero perder di vista la corretta via. 
Nella nostra mente rimugina ancora il pensiero espresso da Adriano quando alcuni compagni che procedono in testa al gruppo, attraversando in ordine sparso un campo solcato, cominciano a seguire una traccia differente dal giusto sentiero.

Dopo 500 metri da Sa Vicu I° giungiamo al cuile Sa Vicu II° che, con gradita sorpresa, troviamo completamente restaurato. 
Ripreso il cammino transitiamo accanto al cuile S'Uscradu e, qualche decina di metri più avanti, raggiungiamo il cartello che segnala il bivio per il cuile S'Aruledda (deviazione 405C). 
Seppur poco distante evitiamo di andare a visitare S'Aruledda e proseguiamo sempre sul medesimo sentiero. Francesco S. e Fabrizio, mentre affrontano un pendio sempre più accentuato, confidano che per loro è più estenuante fare frequenti soste perché ripartendo sentono maggiormente la fatica muscolare. Tore, captando l'assist dei due compagni, afferma che lui si trova meglio tenendo costantemente il proprio passo, poiché seguendo ritmi più lenti si stanca più facilmente. Una soluzione potrebbe essere quella di tenere un'andatura costante e, quando subentra la stanchezza, evitare di fare lunghe soste e camminare più lentamente, tenendo comunque in considerazione che l'unione del gruppo è fondamentale.
Dopo una salita di 5 Km. con 550 metri di dislivello positivo raggiungiamo il cuile Orthini ove, orgogliosi e soddisfatti, posiamo per una conquistata foto di gruppo. 
Da questo punto privilegiato possiamo osservare nitidamente a nordovest Punta Cusidore (1.147 metri), mentre più lontano svetta indiscussa Punta Sos Nidos (1.348 metri). 
A pochi passi dal cuile disarrampichiamo una scarpata rocciosa che, precipitando un centinaio di metri, ci introduce nella piana di Sovana consentendoci di abbreviare il sentiero di 500 metri circa. In questo versante Sovana declina dolcemente attraversando un prato riarso e pietroso che s'incanala sempre più tra rocce e vegetazione conducendoci, dopo circa 650 metri, all'imboccatura della valle di Pentumas nota ai locali come Boccaportu ed anche con toponimi quali Gutturu de su Buccaportu e Buccaportu de Degones. 

Dopo una breve disarrampicata che prelude il canyon, attrezziamo la corda per il primo salto delle tredici calate che dovremmo affrontare secondo il seguente ordine: 33, 8, 25, 15, 10, 9, 10, 17, 22, 10, 20, 14, 8 metri. La gola non consente vie di fuga e, dopo la prima calata, si percorre obbligatoriamente fino alla sua naturale uscita superando circa 2,5 km. di salti e tortuosi tornanti. 
Adriano, assistito da Alberto, predispone due corde agli armi fissati su un torrione roccioso esposto direttamente al dirupo. Poi, insieme ad Olin Lino, comincia a calarsi su corda singola per circa 33 metri. Dopo la loro libera si cala Francesco S. che seguo quasi simultaneamente. Termino la calata su un piano leggermente inclinato accanto agli anelli del prossimo armo. 
Poi, proseguo in doppia altri 8 metri atterrando ai margini di una piscina d'acqua ove sborda la carcassa di un muflone. Mentre ci raggiunge Daniela, Olin Lino fa alzare in volo il drone per registrare qualche scena da prospettive aeree.
Procediamo nel greto del torrente sbalzando tra le varie pozze d'acqua che cerchiamo d'evitare passando in bilico su instabili pietre, o in equilibrio su tronchetti d'albero, per poi incanalarci su vischiosi cunicoli che oltrepassiamo in scivolata. 


Giunto al terzo salto di 25 metri osservo Vladimiro accingersi a calarsi. Mentre attendo il mio turno, preceduto da Daniela e seguito da Olin Lino, volgo lo sguardo verso l'alto ritrovandomi al centro di un gigantesco anfiteatro con spettacolari gallerie e balconate. 
Dopo la libera di Daniela posso allongiarmi all'anello posizionato sul pavimento di una roccia inclinata ed inizio la calata evitando alcune profonde marmitte e, nel tratto finale, transitando su uno scivoloso costone. Poi attendo la discesa di Olin Lino che chiude il gruppo e, recuperata la corda, ci avviamo insieme al prossimo salto. 
Mentre disarrampichiamo su grossi massi disposti verticalmente in ripida cascata Olin Lino mi fa notare che poco più in alto, sul lato sinistro, era prevista la quarta calata dei 15 metri che, con l'impeto del procedere oltre, è sfuggita di vista a tutti. Ormai non possiamo far altro che andare avanti e raggiungere il quinto salto che ha l'armo predisposto sulla sinistra, poco distante da un grande leccio cresciuto tra le intercapedini rocciose, poco più in basso dell'attacco. Ci caliamo per 10 metri in corda doppia discendendo accanto a grossi massi sovrapposti ed atterriamo in un corridoio pianeggiante ove giace un grosso tronco poggiato alla parete. 

La vegetazione, quasi assente nella parte iniziale, man mano che discendiamo la valle accresce rigogliosamente. Destreggiandoci tra grossi massi raggiungiamo il sesto salto. La calata è alta 9 metri ed ha l'armo predisposto sempre sul lato sinistro. Alla partenza ci spostiamo a destra dell'    armo passando rasenti ad un grosso masso e, scendendo quasi verticalmente in corda singola, atterriamo su terriccio umido e pietroso. 
Seguendo il serpeggiante greto, tra labirintici passaggi, abbiamo l'opportunità d'integrarci sempre più in questo ostico territorio. Raggiunto il settimo salto effettuiamo una calata di 10 metri in corda singola atterrando in un breve corridoio. 

L'ottavo salto dei 17 metri parte ove termina la settima calata e discende uno stretto canalone. Ci caliamo in corda doppia esponendoci leggermente alla partenza per oltrepassare un grosso masso. Poi raddrizziamo la verticale continuando la discesa perpendicolarmente sotto il masso, in quando la corda s'incanala nell'intercapedine tra parete e roccia. Si atterra in un'area ingrottata interessata da una pozza d'acqua evitabile deviando la verticale su alcuni massi. 


Al nono salto ci allongiamo all'armo salendo sopra una roccia. Poi, calandoci in corda singola, scendiamo 2 metri sopra un breve terrazzino e, utilizzando cordino in kevlar più moschettone, sfruttiamo un preesistente armo per creare una deviazione, in quanto la conformazione delle rocce presenta un percorso a gomito. Ultimiamo i restanti 20 metri calandoci in verticale. 
Giunto al decimo salto, mentre mi allongio osservo Daniela che, ultimata la calata dei 10 metri, transita tranquillamente sotto un grosso masso incastrato tra le pareti. Scendo in corda singola, i primi metri in appoggio, i restanti nel vuoto. Atterro in uno stretto corridoio tra alte pareti verticali. 
Nell'undicesimo salto ci allongiamo nella parete sinistra, sopra un enorme masso incuneato tra le pareti. Discendiamo in corda singola una ripida parete di 20 metri atterrando tra grossi massi e l'ampio ingresso di una grotta. 
Per giungere al dodicesimo salto affrontiamo un tratto disarrampicando grossi massi, a volte con l'ausilio di rami posizionati a mo' di scala e'fustes e zigzaghiamo tra la vegetazione scavalcando sovente tronchi d'albero. Il salto si trova sul lato destro del greto e lo raggiungiamo discendendo una roccia con tante scanalature somiglianti a lunghi gradoni. L'armo risulta esposto sulla parete destra e la calata scende verticalmente per 14 metri. 
Ripreso il cammino passiamo poco distanti dalla parete ove comincia la ferrata. Proseguendo ci introduciamo sempre più nel bosco di lecci e passiamo accanto ad una grotta ove un tempo i pastori recuperavano l'acqua dallo stillicidio delle rocce. Quasi a guardia della grotta è presente una roccia naturale a forma di monolito affusolato che fantasiosamente somiglia alla figura di una fanciulla con le mani giunte, come una madonnina. 
Dopo un tratto di boscaglia raggiungiamo il tredicesimo ed ultimo salto. La calata di 8 metri affronta una parete leggermente inclinata, meno insidiosa delle precedenti (si potrebbe quasi disarrampicare), e termina su un cumolo di ciottoli di fiume di medie dimensioni. Ormai siam fuori dalla gola e, dopo circa 700 metri, camminiamo sullo sterrato principale (ove Adriano questa mattina ha lasciato l'auto). Procediamo circa 1,2 Km. arrivando al Rifugio Sa Oche, nostra base di partenza, intorno alle 17:00. Per terminare la bella escursione ci ritroviamo seduti intorno al tavolo del boschetto per sgranocchiar qualcosa e festeggiare con qualche birra fresca.