Trekking Punta La Marmora (agosto 2016)



Questo week-end, su suggerimento di Adriano Urracci, il C.I.S.S.A. ha organizzato un’escursione sulla cima più alta della Sardegna: Punta La Marmora (1.834m.). Consapevoli che il rientro a casa è previsto per domani sera, prepariamo il nostro zaino equipaggiandolo principalmente con stuoia, sacco a pelo, vino, birra e qualcosina da mangiare, ma trascuriamo tranquillamente di portare la tenda in quanto, in virtù delle calde giornate di questo periodo, per logica possiamo auspicare di poter felicemente trascorrere la notte all’aperto, godendoci lo spettacolo delle stelle cadenti semplicemente stando dentro un sacco a pelo, o coprendoci con un leggero plaid. La maggior parte dei compagni (tra cui Francesco B. con Betty, Riccardo e Alessandra; Riccardo con Antonella e Martina; Giorgio C. e Simona; Adriano e Mafalda; Vittorio e Annalisa M.; Michela, Francesca, Marco, Simone), è partito questa mattina. Mentre io, Giulia, Annalisa C., Giuliano, Cristina, Francesca ed Alessandro, partiremo insieme questo pomeriggio da Iglesias.

Ci ritroviamo puntali alle 14:00 in piazza Cavallera e, per non utilizzare quattro auto, chiedo ad Annalisa di salire in macchina con me e Giulia, mentre Cristina, Francesca ed Alessandro si accomodano nell’auto di Giuliano. Il viaggio procede a velocità da crociera, includendo una o due soste lungo la strada che conduce fino a Desulo, località alla quale arriviamo dopo due ore e mezza. Durante il tragitto, che contempla l’attraversamento di alcuni paesi, notiamo come in questo periodo estivo la vegetazione secca e quasi brulla del nostro sud-ovest sardo, diventi sempre più florida man mano che ci spostiamo verso i monti della provincia di Nuoro. La varietà e quantità di piante, con le innumerevoli tonalità di verde, rendono il paesaggio unico e affascinante. Giunti a Desulo transitiamo lungo la via principale che in leggera salita attraversa centralmente il paese. Come bimbi iniziamo ad osservare tutto ciò che appare ai nostri occhi, dalla chiesa di Sant’Antonio Abate alle finestre aperte delle case che si affacciano sulla via, dai piccoli negozi artigianali alla gente che circola tra le vie, cercando d’immedesimarci nel tipo di vita che si respira quotidianamente in questi nostri lidi montani.

Tre chilometri dopo il paese, raggiunto l’incrocio dove si trova il ristorante Madonna delle Nevi, imbocchiamo la strada destra, verso Tascusi. Siam confortati dal procedere nella giusta direzione da una telefonata di Adriano Ur. che ci segnala anche il prossimo incrocio al quale dovremmo svoltare. Dopo circa cinque chilometri, raggiunto il bivio indicato, voltiamo a destra trovando alcuni cartelli turistici che confermano la strada per i sentieri del Gennargentu. Ancora pochi chilometri e raggiungiamo il rifugio Erbas Birdes, noto anche come rifugio S’Arena (1510m.). La struttura è chiusa (probabilmente apre solo durante la stagione invernale). L’area antistante l’edificio è occupata da tanti veicoli parcheggiati, tra cui quelli dei nostri compagni. Anche noi sostiamo l’auto e, zaino in spalla, iniziamo il trekking verso l’ambita meta. Dopo circa 800m. percorsi in leggera salita troviamo un bivio con un sentiero che volge a destra ed un altro che prosegue dritto. Entrambe le piste son ben delineate, ma dirigono su due distinte cime. Fortunatamente abbiamo con noi Francesca che col suo cellulare riesce ad identificare il percorso raffrontando il sentiero contrassegnato col n.721 tra la sua mappa ed alcune rocce lungo la via.

Dopo circa 400m., giunti in cima alla collina, troviamo delle frecce in legno indicanti la direzione anche per altri percorsi. Un cartello ci informa che ci troviamo a S’Arcu Artiali (1660m.) e che distiamo circa un’ora da S’Arcu Gennargentu (Gennargentu tradotto dal sardo significa Porta d’Argento, nome nato nell’osservare lo splendore che le rocce delle sue cime assumono quando, in particolare all’alba ed al tramonto, sono irradiate dai raggi del sole). Ora il sentiero presenta una leggera pendenza, offrendoci l’opportunità di osservare il panorama della vallata circondata dalle alte pareti montuose. La vegetazione è costituita da grandi spazi erbosi, piccoli arbusti e prati di felci (forse a queste altitudini il gelo invernale e la neve non consentono la crescita di altre piante). Mentre avanziamo, il nostro passo è spesso rallentato da numerose vacche che pascolano tranquillamente in libertà.

Dopo 670m. raggiungiamo una fontana realizzata con alcune pietre sovrapposte e lastricata ai lati dove poggiar lo zaino o sedersi, al centro della quale sgorga la fresca acqua di sorgente. Dopo esserci rinfrescati riprendiamo il nostro cammino e, dopo altri 750m., raggiungiamo Sa Funtana Is Bidileddos (1660m.). Si tratta di un’oasi attrezzata dove son presenti diversi alberi sotto i quali ci sono tavoli, panche ed una nuova rigogliosa sorgente d’acqua. Grazie a queste brevi pause il tragitto verso la meta risulta meno faticoso. Riprendiamo il cammino passando vicino ad alcune caratteristiche conformazioni rocciose che si ergono quasi a punta, che ci ripromettiamo di scalare al rientro per scattar qualche foto. Saltellando su alcuni sassi oltrepassiamo un ruscello, iniziando poi una salita che progressivamente diventa sempre più accentuata. Mentre procediamo, non distanti da noi notiamo un folto gruppo di persone impegnate a montare le tende. Poco dopo, scopriamo che tale accampamento è allestito nel boschetto recintato vicino alle rovine del Rifugio Punta La Marmora.

Qui troviamo tante persone, alcune indaffarate, altre che chiacchierano, altre ancora che si divertono abbozzando accordi alla chitarra, cantando e bevendo birra. Tra tanta gente riusciamo ad individuare Roberto B. ed Edoardo S. che notandoci si avvicinano alla recinzione per salutarci. Tale raduno è stato organizzato dai gruppi Your Sardinia Experience e Sardinia Tourist Guide che, dietro compenso, hanno ideato quest’evento battezzandolo: “Aspettando l’alba a Punta La Marmora”. Riprendiamo ad inerpicarci lungo la salita per altri 250m., fino a giungere in cima alla vallata. Anche qui troviamo un altro gruppo di ragazzi che si adoperano a montar le tende. Finora abbiamo affrontato il trekking camminando a maniche corte sotto un bel sole, quasi soffrendo il caldo. Ma quassù, in cima alla vallata, ci accoglie all’improvviso un fresco vento di maestrale ed il cielo inizia a velarsi con qualche nube. I cartelli in legno indicano il percorso da seguire ma, più che un sentiero, è quasi una traccia che si inerpica sulla montagna. Il versante del monte che stiamo costeggiando presenta un’estesa pietraia, particolarmente cospicua verso la punta.

Utilizzando alcune pietre, qualche ragazzo estroso ha creato delle simpatiche sculture che delimitano il sentiero. Affrontiamo l’irta salita per circa 800m. soffrendo per l’impresa, ma gustando la particolare sensazione di camminare sopra le nuvole. Finalmente, giunti in cima, iniziamo ad individuare l’accampamento dei nostri compagni. Non ci resta che percorrere quest’ultimo tratto disposto quasi in piano sulle alte cime del Gennargentu. La fatica quasi scompare alla vista di un meraviglioso tramonto che, ammaliandoci, ci ritempra con i suoi caldi colori. Non di meno importanza è l’accogliente sorriso dei nostri amici che vengono a salutarci con un abbraccio. Qui il vento si avverte particolarmente e le nuvole che vedevamo in lontananza molto probabilmente giungeranno fino a noi. Qualche compagno previdente ha portato la tenda ed ora si accinge a montarla. Ci rendiamo subito conto che solo col sacco a pelo potremo trovarci esposti alle intemperie. Pertanto, con l’aiuto di Francesco B., Riccardo, Adriano, Giorgio ed altri amici, utilizziamo un grande e robusto telo mimetico per creare una sorta di tenda, disponendolo su una corda tesa ancorata a due bacchette da trekking incastrate tra i massi.

Poi, alla base del giaciglio stendiamo un altro telo per isolarci da terra, sistemandoci sopra tre sacchi a pelo (mio, di Giulia e di Annalisa). I colori del tramonto pian piano affievoliscono, dando sempre più risalto al luccicar delle stelle. L’aria, diventando notevolmente più fresca, ci consiglia d’indossare indumenti più pesanti ed un cappuccio per tenere al caldo la testa. Al momento di cenare, ci raduniamo vicino alle tende di Francesco e Riccardo e ci disponiamo intorno ad un telone steso a terra come tovaglia dove, alla luce delle nostre torce, condividiamo fraternamente le nostre vivande. Anche se mancano le abituali grigliate, con tutte le pietanze che abbiam portato tra il formaggio, la salsiccia secca, la frutta, il vino e la birra di certo non resteremo a digiuno. Il vento di maestrale ora soffia con più intensità ed i nostri indumenti, seppur pesanti, iniziano ad essere insufficienti. Per tale motivo alcuni compagni (me compreso), preferiscono avvolgersi nel sacco a pelo indossandolo come un cappotto.

Ormai è quasi mezzanotte e l’appuntamento per assistere alla nascita del sole è fissato alle 4:30. Inoltre, il freddo è diventato così pungente che è quasi proibitivo restare senza riparo. Quindi decidiamo di ritirarci per andare a dormire. Qualche metro dietro il mio sacco a pelo, Betty e Francesco dopo aver sistemano al calduccio della tenda i propri bimbi addormentati, non trovano più il giusto spazio per sdraiarsi al riparo del vento, pertanto restano seduti a vegliare sulla soglia del parasole riscaldandosi con qualche sigaretta. Mentre Riccardo ed Antonella, che hanno montato la tenda accanto a quella di Betty e Francesco, riescono a trovare la giusta posizione per dormire al coperto insieme alla propria bimba. Dentro il nostro giaciglio di fortuna il vento gonfia il telone come fosse una vela, agitandolo con tale tempra da produrre un rumore fragoroso non solo per noi che stiamo sotto, ma per tutti i compagni attorno. Per poter riposare, con Giulia ed Annalisa non ci resta che improvvisare qualche esercizio di meditazione che ci induca a prender sonno, ma con queste condizioni meteo è pressoché impossibile.

La prima ad abbandonare il giaciglio è Annalisa che, stremata perché esposta maggiormente al vento, corre a sedersi vicino a Betty. Segue a breve distanza Giulia che, nonostante fosse al calduccio del proprio sacco a pelo invernale, infastidita dal movimento del telone decide di raggiungere Annalisa. Impavido e temerario tento di resistere senza abbandonar il precario presidio e, stanco del fastidioso rumore del telone, decido di eliminarlo totalmente. Quindi per un’oretta resto all’ addiaccio, semplicemente sdraiato dentro il sacco a pelo ad osservar il cielo stellato e le sospinte nuvole che a tratti mi attraversano. Resta inteso, comunque, che da quassù è meraviglioso osservare il panorama notturno rischiarato, oltre che dalle stelle, dalle mille luci dei paesini disseminati tra le vallate. Ben presto il vento trasporta alcuni nuvoloni proprio sopra noi, con un carico di umidità che bagna esternamente ogni cosa. Ora tutto diventa opaco e nebuloso ed è scesa un’atmosfera inusuale, quasi irreale. Sento qualcuno che accorre verso me: è Giulia che con l’apprensione di una figlia, intravvedendomi immobile in tale fantasmagorico scenario, viene a controllare se realmente sto ancora li, o se la mia anima è ormai trasportata via da qualche nube.

Poco dopo, avvolto nel mio sacco a pelo, decido di svegliare muscoli ed articolazioni facendo un tour notturno tra le tende. Ormai manca poco all’appuntamento e, verso le 4:20, siam già tutti in movimento alla ricerca del miglior punto dove gustare l’alba, prima che la processione dei diversi gruppi di ragazzi che sale dalla valle invada gli spazi di questo sito. Io, Giulia, Simona e Giorgio C. siamo i primi a prender posizione su alcune rocce che volgono a levante. All’orizzonte, tra gli spazi del cielo scevri da nuvole, sale un fievole bagliore tra il giallo e l’arancione, preludio di natività del nuovo giorno. La nostra attenzione è richiamata dal panorama notturno che si contrappone ai primi deboli chiarori. Distanti da noi, lungo le scure valli del versante est, si notano sporadiche luci, tra cui quelle che lambiscono il lago Bau Muggeris. Nel frattempo ci raggiungono anche i nostri compagni che, avvolti nei sacchi a pelo, trovano un posto dove sedersi per assistere all’imminente spettacolo.

Durante l’attesa, ci attrezziamo con macchine fotografiche e action cam per esser pronti a registrare l’evento. Vittorio è tra i fotografi più attivi che, oltre a catturare le varie sequenze dell’albeggiare, cerca di immortalare le emozioni di tutti noi. Pian piano l’alba inizia a pennellare il cielo con tutti i suoi colori, mentre all’orizzonte il sole timidamente si erge sopra striature di candide nuvole. Dopo qualche minuto, ecco che la rossa e delineata sagoma sferica si leva ancor più in alto mostrando con determinazione tutto il suo splendore. Mentre la luce accresce d’intensità, ogni cosa diventa più chiara dissipando l’oscurità. Ora il sole s’innalza ancora di più, sopra la coltre di nubi, risplendendo su un meraviglioso cielo azzurro. I nostri volti, anche se infreddoliti, sorridono al nuovo giorno che offre ad ognuno l’opportunità di crescere, amare e diventare migliore. Compiaciuti nel cuore, rientriamo all’accampamento.

I compagni iniziano a smontare le proprie tende, mentre io, Giulia, Francesca ed Alessandro ci avviamo verso la la grande croce in ferro eretta in cima alla Punta della Croce, conosciuta fino ad un recente passato col nome di Punta La Marmora in ricordo al generale Alberto La Marmora che, con strumenti cartografici dell’epoca, misurò tale punto come vetta più alta della Sardegna. Ma, da recenti e più precisi rilievi, la vera Punta La Marmora (1834m.), dista circa 200m. più a nord, sempre sulla medesima cresta, rispetto alla Punta della Croce (1825m.). Sotto tale croce, custodito in un cunicolo, troviamo il libro di via sul quale registriamo un pensiero in segno del nostro passaggio. Rientrati all’accampamento, raccogliamo le ultime cose e ci organizziamo per lasciare il posto. Zaini in spalla, riprendiamo tutti insieme il percorso a ritroso che ci condurrà al Rifugio Is Arenas, dove abbiamo parcheggiato le nostre auto. Dopo la foto di gruppo, ci dirigiamo in auto verso Aritzo e ci fermiamo in un’area con tavoli e panche per pranzare tutti insieme, salutarci e concludere questa bella esperienza.