Ferrata Gutturu Xeu "la Via della Torre"


Dopo aver trascorso quattro domeniche inabissati nelle profondità carsiche a lume di torce, si potrebbe sentire un po’ il desiderio di uscire dalle pance dei monti per esplorare i loro pendii alla luce di un sole ancora tiepido e brillante e sotto il bel cielo azzurro generosamente offerto da questo novembre. Il posto prescelto è familiare, si trova infatti nel cuore del Marganai e viene descritto come una “palestra a cielo aperto” delle vie ferrate: stiamo parlando di Gutturu Xeu.
Appuntamento nel consueto posto ed alla stessa ora, siamo presenti in dodici: Francesco Ballocco, Betty, Roberto, Stefano, Claudia Puddu, Marco, Alberto, Sara, Adriano, Barbara, Tore e Francesco Manca. Carichiamo sui mezzi tutte le attrezzature necessarie e partiamo alla conquista della via della Torre. La vestizione richiede il suo giusto tempo, poiché le attrezzature, anche se simili, sono differenti rispetto a quelle usate finora in grotta e, per i meno esperti, è necessario familiarizzare con i nuovi imbraghi e i nuovi strumenti.
Pronti, partenza, via! L’aria è frizzante così come il nostro umore. Ci incamminiamo sullo stesso tratto iniziale del sentiero percorso domenica scorsa per raggiungere la grotta di Pizz’e Crobis, per poi deviare e proseguire in direzione del versante ovest del monte Marganai.
Dopo un primo tratto percorso tra chiacchiere e risate, il sentiero, bagnato dalle recenti intense piogge, ci inebria con il suo aroma selvaggio di terra misto alle fragranze di elicriso, olivastro, ginepro, euforbia, cisto e presto le voci lasciano spazio al tintinnio squillante dei moschettoni appesi agli imbraghi, che scandisce il ritmo dei passi di questo strano gregge colorato che avanza in fila indiana sul sentiero che, in un tempo non troppo lontano, veniva percorso dagli uomini e dai mezzi che lavoravano nella cava. Superato un vecchio rudere e raggiunta un’ampia radura racchiusa tra le pareti calcaree, inforchiamo un sentiero ripido e saliamo immersi nella macchia fino all’attacco della ferrata.
Dopo alcune doverose raccomandazioni tecniche e pratiche, eccoci pronti per dare il via all’arrembaggio della Torre. L’approccio con la parete verticale è per i neofiti timido e titubante finché, osservando chi percorre quei tratti con la sicurezza dell’esperienza e cercando di imitare ogni loro mossa (…o quasi!), la ricerca di qualunque asperità nella roccia, che possa trasformarsi in appiglio, diventa gradualmente sempre più decisa. … “mano – mano, piede – piede; mano – mano, piede – piede, con calma, un aggancio di longe dietro l’altro, un passo dopo l’altro” …Il fiato si fa corto e il battito del cuore accelera mentre ognuno affronta con coraggio i personali limiti, lasciandosi guidare un po’ dal proprio istinto e un po’ dai suggerimenti.
La salita è lenta ma inesorabile e dopo qualche inciampo, livido e qualche improbabile posizione assunta per superare i passaggi più difficili, eccoci in cima, sul tetto della Torre. Da qui si può godere di un panorama spettacolare ed è il luogo ideale per riprendere fiato e raccogliere le forze.
Per qualcuno finisce la sofferenza della salita mentre per altri inizia la paura della discesa, perché dalla cima, poi, in qualche modo bisogna pur scendere e questa bellissima ferrata ci offre l’ebrezza di poter affrontare non una, non due, ma ben TRE lunghe calate in corda. Se per caso la salita ci fosse apparsa vagamente esposta, ora ci troviamo a fare i conti col vuoto totale. Il raggiungimento del punto di attacco della discesa crea un leggero disagio a qualcuno, che nel passaggio dal terrazzino di attesa, fatica a liberare l’unico spuntone di roccia dal proprio avvolgente abbraccio “di sicura psicologica”. 
Ma grazie agli incoraggiamenti profusi ed in seguito alle simpatiche domande scherzose di rito come: «…hai chiuso bene il maillon???» a rischio di arresto cardiocircolatorio, si rompe il ghiaccio con lo strapiombo e, ad uno ad uno, ci prepariamo ad iniziare la prima lenta ed emozionante calata in corda doppia. Ora il respiro rallenta, i pensieri si azzerano. Seduti nel vuoto, cerchiamo l’equilibrio con i piedi puntati nella parete e focalizziamo tutta l’attenzione nelle nostre mani che, armeggiando con corda e discensore, cercano di eseguire quelle manovre che sembravano così semplici in palestra, ma che ora, appesi nel vuoto, fanno venire mille dubbi. “Quante sicure hai?” Il battito riaccelera, è ora di sganciarle e scendere.
Con un po’ di titubanza, durante questa prima discesa, abbiamo regolato la velocità calibrando i movimenti delle braccia per gestire accelerazione e frenata e coordinando allo stesso tempo gambe e piedi nella roccia verticale. Tutto mentre il nostro corpo, sferzato dal vento, viene attratto dalla forza di gravità verso il “piano di sotto”, dove Roberto ci osserva pronto a farci "sicura". Non è stata una discesa veloce, ma ha avuto il grande valore di farci conoscere, affrontare e superare l’insicurezza.
La seconda discesa ha un attacco un po’ più scomodo da raggiungere, ma ora abbiamo fatto amicizia con l’altezza e quindi ci permettiamo di sperimentare un po’ di più le abilità acquisite e anche di aprire il raggio di veduta a tutta la bellezza della natura che ci circonda. Superato qualche intoppo grazie alla prontezza di riflessi e al gioco di squadra, eccoci arrivati alla terza ed ultima discesa, la più semplice, che affronteremo tutti con rinnovata energia, soprattutto dopo aver avvistato dall’alto il fumo bianco del barbecue che segnala inequivocabilmente che è giunta l’ora di pranzo.
Ancora carichi di adrenalina, ripercorriamo a ritroso lo stesso sentiero dell’andata fino al campo base, senza tralasciare di raccontarci qualche altra curiosità su quei luoghi incantati pieni di storie magiche e misteriose.